Dopo 4 anni dalla fine ufficiale della missione Rosetta, gli scienziati del Southwest Research Institute sono riusciti a rilevare per la prima volta un aurora sulla cometa 67P / Churyumov-Gerasimenko (67P / C-G). Il SwRI è un centro di ricerca americano diviso fra San Antonio, in Texas e Boulder in Colorado e ha fornito una parte della strumentazione a bordo della sonda europea che ha rilevato l’aurora. La missione Rosetta, per gran parte programmata e gestita in Europa, presentava anche un contributo Statunitense. Per effettuare questa scoperta sono stati utilizzati i dati di due strumenti: lo spettrografo Alice nel lontano ultravioletto (FUV) e il sensore ionico ed elettronico (IES).
Le aurore sulla Terra.
L’origine delle aurore scoperte sulla cometa 67P, come di quelle che vediamo sulla Terra al Polo Nord, è da ricondurre al nostro Sole. La stella emette particelle energetiche, che vanno poi a comporre il cosiddetto vento solare e colpiscono costantemente la nostra atmosfera. Il campo magnetico terrestre ci protegge da vento solare, ma per la determinata conformazione geometrica del campo stesso, al Polo Nord il vento solare riesce a penetrare maggiormente nella nostra atmosfera. In questo modo trasporta particelle cariche come protoni ed elettroni, dando origine al fenomeno delle aurore.
Questo tipo di interazioni siamo riusciti ad osservarle su svariati pianeti del nostro sistema solare e addirittura su un’altra stella. Non era mai capitato di rivelarle su una cometa. Al contrario di come avviene sulla Terra, in questo caso il vento solare non ha interagito con l’atmosfera, la cometa non ne ha una nel vero senso del termine, ma con il gas commentario che circonda 67P.
Le particelle cariche del Sole che fluiscono verso la cometa nel vento solare interagiscono con il gas che circonda il nucleo polveroso e ghiacciato della cometa e creano le aurore. IES ha rilevato gli elettroni che hanno causato questa aurora.
Così ha descritto la scoperta il vicepresidente di SwRI, il dottor Jim Burch, che guida lo strumento IES.
La scoperta
“Inizialmente, pensavamo che le emissioni ultraviolette della cometa 67P fossero fenomeni noti come ‘bagliore diurno’, un processo causato dai fotoni solari che interagiscono con il gas cometario. Siamo rimasti sbalorditi nello scoprire che le emissioni UV sono aurore, originate non da fotoni, ma da elettroni nel vento solare che rompono l’acqua e altre molecole nella chioma. Queste molecole sono poi accelerate nell’ambiente vicino alla cometa e gli atomi eccitati risultanti creano questa luce distintiva”. Così ha descritto la situazione il dottor Joel Parker di SwRI che guida lo spettrografo di Alice.
Il processo che origina queste comete avviene ad altissime energie, ben più alte di quelle delle aurore boreali sulla Terra. Sulla comete questa interazione ha infatti originato aurore solo nella gamma ultravioletta e non in quella della luce visibile.
Secondo la Dottoressa Marina Galand dell’Imperial College di Londra e principale autrice di questo studio, il fenomeno appena osservato è particolarmente complesso. Alcune caratteristiche di queste interazioni erano già state osservate sulle aurore di Marte o della Terra, ma mai su una cometa.
Lo studio completo è appena stato pubblicato su Nature: Far-ultraviolet aurora identified at comet 67P/Churyumov-Gerasimenko.
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