Prima che il 14 gennaio 2005 la sonda Huygens scendesse su Titano, la luna più grande di Saturno, nessuno aveva mai visto sotto la sua densa atmosfera. Le uniche foto a nostra disposizione di questo corpo roccioso erano quelle scattate da lontano dalla Pioneer 11 nel 1979 e dalla Voyager 1 l’anno successivo.
Quando Huygens è scesa attraverso l’involucro gassoso che nasconde la superficie di Titano, il suo radar, la camera e gli altri strumenti hanno permesso di raccogliere dati che ci hanno fatto capire quanto quel mondo alieno fosse simile alla Terra (almeno nell’aspetto). Con la sua densa atmosfera di azoto, laghi e fiumi di idrocarburi liquidi come il metano, l’acqua congelata, ed enormi distese di dune sabbiose.
Ora, in una ricerca presentata durante la Lunar and Planetary Science Conference (LPSC) 2024, un team di scienziati dell’Università del Colorado ha suggerito che il materiale di queste dune non sia prodotto localmente, come era stato ipotizzato finora, attraverso l’erosione o condensata dagli idrocarburi atmosferici. Potrebbe invece trattarsi di particelle provenienti dalle regioni più esterne e fredde del Sistema Solare, ovvero dalle comete.
Le dune: Terra vs Titano
Le dune sulla Terra sono costituite da sabbia, che viene portata dal vento e ammucchiata in cumuli. Le singole particelle di sabbia vengono spinte e spinte dal vento con una forza sufficiente da farle rimbalzare e disperdersi, nel corso di un processo chiamato saltazione. Se le particelle non rimbalzano, non possono accumularsi una sull’altra, ma se il vento riesce a sollevarle completamente dal suolo, semplicemente vengono spazzate via.
La saltazione dipende dalla dimensione e dalla massa delle particelle di sabbia e dalla forza del vento. Ma necessita anche che le particelle siano asciutte, in modo che possano muoversi liberamente senza aderire tra loro.
A differenza delle dune dei deserti sabbiosi della Terra in Namibia e Arabia meridionale, le dune di Titano sono enormi. Riempiono vaste aree che coprono più di un ottavo della superficie della luna. Queste dune sono alte circa 100 metri, larghe alla base da 1 a 2 km e possono estendersi per centinaia di km in lunghezza.
Un’ipotesi comune è che le particelle delle dune di Tiano siano endogene. Ovvero che si siano formate nell’atmosfera di Titano come corpi scuri di dimensioni micrometriche, che si siano poi depositate sulla superficie e abbiano raggiunto dimensioni di qualche centinaio di micrometri. Per essere infine liberate dal ghiaccio del suolo e aver subito un processo di saltazione simile a quello terrestre.
Questo scenario è stato utilizzato per spiegare le dune equatoriali di Titano. Tuttavia, diverse fasi di questo processo non sono ancora state verificate. E non è neppure chiaro se il materiale titanico sia abbastanza forte da andare incontro a saltazione.
L’ipotesi della provenienza cometaria
La sabbia su Titano non può essere costituita, come sulla Terra, da silice erosa da rocce più grandi, perché tali materiali non si trovano sulla superficie. Una teoria comune è che potrebbe essere composta da ghiaccio. Quando il metano liquido piove e scorre, potrebbe erodere il substrato roccioso del ghiaccio d’acqua, macinando pezzi insieme fino a formare una sabbia di granelli di ghiaccio.
Un’idea alternativa, proposta dai ricercatori dell’Università del Colorado guidati da William F. Bottke, è che le particelle che compongono le dune titaniche siano tholins, toline, e che derivino dalle comete. In particolar modo da detriti irregolari provenienti dallo spazio o da KBO (Kuiper Belt Objects, oggetti della Fascia di Kuiper oltre Nettuno) che hanno colpito Titano in epoche precoci.
Le particelle cometarie, infatti, avrebbero le dimensioni giuste (circa 200 micrometri) per poter garantire la saltazione su Titano. Sarebbero inoltre più resistenti del ghiaccio, e potrebbero corrispondere meglio agli spettri dei campi di dune osservati sulla Luna.
Utilizzando un nuovo modello collisionale e dinamico della Fascia di Kuiper primordiale, gli scienziati hanno quantificato il volume di materiale cometario che sarebbe stato consegnato a Titano nel corso del tempo, dai primordi della sua evoluzione. Se gran parte di questo materiale è rimasto vicino alla superficie, può aver costituito una fonte plausibile per i giganteschi depositi di dune di Titano.
Guardando al futuro con Dragonfly
C’è (finalmente) una missione futura interamente dedicata all’esplorazione di Titano: Dragonfly, parte del programma New Frontiers della NASA. Il lancio è programmato per luglio 2028, con arrivo a destinazione nel 2034. Dragonfly sarà un lander a rotore, simile a un grande quadricottero, che verrà inviato su Titano per studiare la chimica prebiotica e la possibilità di esistenza di vita extraterrestre in ambienti diversi da quelli della Terra.
Il veicolo, che sarà in grado di visitare diverse zone della superficie grazie alla possibilità di spostarsi in volo, saprà sicuramente fornire una visione più completa non solo dei paesaggi titanici, ma anche delle caratteristiche del suolo e del suo materiale.
Questa possibilità rappresenta una grande opportunità di test di tutte le teorie sulla possibile composizione e provenienza della sabbia di Titano, oltre che delle loro implicazioni. Infatti, se le dune titaniche fossero effettivamente costituite da polvere cometaria, ciò presenterebbe forti vincoli sulla quantità di detriti che hanno raggiunto Titano dallo spazio, di impatti che si sono verificati. E potrà darci risposte anche sui materiali scuri depositatisi su Callisto e Ganimede, lune di Giove, che presentano depositi simili.
Il paper che descrive lo studio è reperibile qui.