La mattina di martedì 24 Aprile 1990, il cielo sopra la Florida era sereno. Con il naso all’insù e la mano a visiera, i presenti seguirono l’ascesa verso il cielo dello Space Shuttle Discovery. Al suo interno un carico preziosissimo, da rilasciare a 540 km di quota: il telescopio spaziale Hubble. Pochi, quel giorno, potevano immaginare l’importanza che quel cilindro di metallo lungo quanto due furgoncini Volkswagen avrebbe ricoperto di lì a pochi anni. Eppure, i primi anni di vita di Hubble non furono privi di complicazioni.
Durante la sua costruzione era stato assemblato male il dispositivo incaricato della levigatura dello specchio primario, del diametro di due metri e mezzo. Il conseguente scostamento dai valori previsti, per quanto piccolo, ebbe impatti devastanti sugli obiettivi primari della missione, dedicati allo studio dell’origine e dell’età dell’universo. I cosmologi, intanto, scalpitavano.
Per oltre due anni, durante i quali Hubble si concentrò su obiettivi minori, alla NASA lavorarono ad una soluzione. Nonostante fosse progettato per essere modificato e riparato nello spazio, la sostituzione dello specchio risultava troppo difficoltosa, figurarsi una riparazione. La soluzione più semplice, però, si rivelò la migliore. Gli strumenti di rilevazione ottica potevano essere rimpiazzati con delle copie esatte, affette dal medesimo errore dello specchio, ma in senso opposto.
A Dicembre 1993, dopo un’apposita missione di riparazione effettuata con lo Space Shuttle, Hubble era pronto a fare sul serio. Da allora, non ha mai smesso di regalarci emozioni, e dopo tre decenni possiamo affermare con certezza che le aspettative non sono state disattese. Quanto è vecchio l’universo? A tutti sarà apparso in mente il numero magico: 13.7 miliardi di anni. E’ grazie ad Hubble ed alle sue osservazioni di una particolare categoria di stelle intermittenti, le Cefeidi, se conosciamo con precisione la risposta.
Il susseguirsi delle stagioni anche sugli altri pianeti, esattamente come avviene sulla Terra, è un’altra scoperta di Hubble. Lo stesso dicasi per gli esopianeti, corpi celesti orbitanti attorno ad altre stelle.
Le foto di Hubble
Tra quasi un milione e mezzo di osservazioni, si trovano alcune delle foto più famose di tutti i tempi. Per citarne solo alcune: grazie a lui abbiamo osservato in diretta lo schianto di una cometa su Giove, la Shoemaker-Levy 9 nel 1994, e abbiamo dato una sbirciata all’universo di 13 miliardi di anni fa, con la celebre foto Hubble Extreme Deep Field . E non si può non citare il suo scatto più famoso, che affolla gli schermi dei nostri smartphone e i libri di scienze del liceo: i Pilastri della Creazione.
Catturata dai suoi strumenti il 1 Aprile 1995, quella nube di gas interstellare e polveri situata nella Nebulosa Aquila ha notevolmente incrementato la nostra comprensione dei processi di formazione stellare. Ciò che si para davanti ai nostri occhi non è niente meno che un asilo di stelle. Il nostro Sole, la nostra Terra, noi stessi, abbiamo avuto origine in un luogo simile.
Pur non essendo stato il primo telescopio spaziale in senso stretto, i suoi dati hanno concorso sia alle scoperte scientifiche che alla divulgazione, motivo che lo rende particolarmente caro anche a noi di AstroSpace.
Grazie a lui, è cambiata in maniera radicale la nostra comprensione dell’Universo. Non a caso, è considerato dall’intera comunità scientifica la più grande rivoluzione nell’osservazione spaziale dai tempi di Galileo.
Il nome, naturalmente, non è stato scelto a caso. Edwin Hubble (1889-1953), cui è dedicato, è stato uno degli astronomi ed astrofisici più prolifici della storia. Le sue maggiori scoperte hanno riguardato le galassie oltre la Via Lattea, prima considerate semplici nubi di gas e polveri, e l’espansione dell’universo, che ha condotto alla formulazione completa della teoria del Big Bang. Un nome che è senza dubbio stato onorato nel migliore dei modi.
Com’è naturale che sia, qualche “ritocchino” negli anni si è reso necessario. I suoi strumenti sono stati aggiornati e riparati mediante altre quattro missioni dedicate, sempre effettuate con lo Shuttle. Per dare un’idea della quantità di informazioni che ci ha permesso di estrapolare, persino i suoi componenti obsoleti, riportati sulla Terra, hanno permesso ai ricercatori di modellare matematicamente l’usura causata dalla permanenza in orbita. Quella macchina gronda letteralmente conoscenza da tutti i pori.
La strumentazione attuale
Attualmente, la sua strumentazione è composta da cinque elementi: due camere, due spettrografi ed un interferometro. Procediamo per ordine. Advanced Camera for Surveys (ACS) e Wide Field Camera 3 (WFC3) operano, rispettivamente, nel campo del visibile e nel vicino infrarosso ed ultravioletto. Sono tra loro complementari, cioè i punti di forza di una sopperiscono alle debolezze dell’altra e viceversa. Le spettacolari immagini che ci giungono da decenni sono frutto di questo meraviglioso lavoro di squadra.
I due spettrografi, il Cosmic Origin Spectrograph (COS) e lo Space Imaging Telescope Spectrograph (STIS), hanno il compito di scindere la luce in arrivo nelle sue componenti, agendo come dei prismi.
In questo modo, ci permettono di decifrare la luce proveniente dagli “obiettivi” di Hubble alla ricerca di informazioni riguardanti temperatura, densità, moto relativo e composizione chimica. Se pensiamo ad una stella come ad una scena del crimine, gli spettrografi sono gli agenti della scientifica. Sono in grado di reperire le informazioni più precise anche dai minimi dettagli.
La complementarietà fa da padrona, a bordo di Hubble. Anche i due spettrografi si completano a vicenda: COS dà il meglio osservando sorgenti debolissime, come i quasar, mentre STIS è un campione quando ha a che fare con oggetti molto luminosi.
Ultimo ma non meno importante, l’interferometro, unico strumento datato ancora 1990. Denominato Fine Guidance Sensors (FGS), è in realtà composto da tre elementi distinti. Nella fase di puntamento, uno di essi è dedicato a raccogliere informazioni inerenti le dimensioni e la posizione dell’obiettivo, con una precisione decine di volte migliore di quella raggiungibile dagli strumenti al suolo. I rimanenti due sono invece impegnati a mantenere il telescopio perfettamente immobile. Per riuscirci, devono puntare ad una sorgente luminosa che ritengono sufficientemente “ferma”. L’aspetto curioso è che questa ricerca di punti fissi ha permesso di smascherare molti sistemi binari di stelle, prima considerati stelle singole.
Il futuro
Nonostante la sua buona salute, il suo successore è quasi pronto. Anch’esso porta un nome importante: James Webb Space Telescope, o JWST. Dal suo punto di osservazione privilegiato, nel punto Lagrangiano L2 ad un milione e mezzo di km dalla Terra, JWST ci permetterà di guardare ancora più lontano di Hubble, ai primordi dell’universo. Dopo svariati ritardi, dovuti alla sua spaventosa complessità, sembra quasi confermato il suo lancio per la seconda metà del 2021. Giusto la settimana scorsa si è svolto con successo un test fondamentale: il dispiegamento dei 18 elementi che compongono lo specchio principale.
Tornando ad Hubble, il suo destino è ancora incerto. Nei prossimi 15/20 anni è previsto un rientro in atmosfera. Una soluzione del genere pare però poco plausibile, in quanto ne farebbe un detrito spaziale potenzialmente pericoloso. Negli scorsi anni è stata avanzata l’ipotesi di una missione con equipaggio dedicata all’installazione di un sistema propulsivo. Se approvata, permetterebbe un rientro controllato, con conseguente inabissamento nell’oceano: una fine alquanto ingloriosa per un pezzo di storia.
Hubble è già stato predisposto a questa eventualità. Durante l’ultima riparazione con lo Space Shuttle del 2009 è stato montato un apposito supporto per agganciare il telescopio anche con un satellite automatico. Alla NASA molti lo vorrebbero esposto in un museo, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo…un rientro atmosferico. Starship, ultima concepita in casa SpaceX e attualmente in fase prototipale, potrebbe tranquillamente accoglierlo nella propria baia cargo e riportarlo intatto sulla Terra. Un sogno? Probabilmente sì, ma si sa, sognar non costa nulla, come ci ha permesso di fare Hubble in questi trent’anni.
Nelle ultime settimane, la NASA ha messo in funzione un sito su cui chiunque può scoprire che foto ha scattato Hubble il giorno del proprio compleanno. Potete raggiungerlo cliccando qui.
Abbiamo raccolto qui di seguito alcune delle più belle foto fra le migliaia scattate da Hubble.