News
| On 2 giorni ago

Il James Webb ha scoperto una popolazione di galassie chiave per la reionizzazione dell’Universo

Share

Utilizzando i dati del telescopio spaziale James Webb, un team di astronomi ha identificato 83 galassie estremamente piccole ma altamente attive nella formazione stellare, che potrebbero aver giocato un ruolo cruciale in una delle fasi più importanti dell’evoluzione cosmica: la reionizzazione.

Questa scoperta è stata presentata durante il 246° incontro dell’American Astronomical Society ad Anchorage, Alaska. Si basa sulle osservazioni del programma UNCOVER (Ultradeep NIRSpec and NIRCam ObserVations before the Epoch of Reionization), realizzato con gli strumenti NIRCam e NIRSpec di Webb.

Le galassie individuate si trovano a un redshift (cioè uno spostamento verso il rosso dovuto all’espansione dell’Universo) di 7. Esso corrisponde a circa 800 milioni di anni dopo il Big Bang, un’epoca in cui l’Universo stava attraversando un’importante trasformazione fisica e chimica. Durante i primi centinaia di milioni di anni, infatti, il cosmo era immerso in una nebbia di idrogeno neutro che assorbiva la luce ultravioletta. La reionizzazione ha segnato la fine di questa “età oscura” cosmica, convertendo il gas neutro in un plasma ionizzato, trasparente alla luce.

Il team, guidato da Isak Wold del Goddard Space Flight Center della NASA e Catholic University of America, ha scoperto che queste galassie nane sono in grado di emettere una quantità di luce ultravioletta sproporzionata rispetto alla loro massa. Grazie anche all’effetto di lente gravitazionale fornito dall’ammasso Abell 2744, è stato possibile identificare le emissioni caratteristiche dell’ossigeno doppiamente ionizzato, tracciatore chiave dell’attività stellare intensa.

Questa scoperta fornisce nuove evidenze sul fatto che le galassie più piccole, e non quelle più grandi o i buchi neri supermassicci, abbiano dominato la fase di reionizzazione cosmica.

I simboli indicano le posizioni di galassie giovani e di bassa massa con starburst quando l’Universo aveva circa 800 milioni di anni. Utilizzando un filtro sensibile a tali galassie, il James Webb le ha fotografate con l’aiuto di una lente gravitazionale naturale creata dal massiccio ammasso di galassie Abell 2744. In tutto, sono state trovate 83 giovani galassie, ma solo le 20 mostrate qui (diamanti bianchi) sono state selezionate per uno studio più approfondito. L’inserto zooma in una delle galassie. Credits: NASA/ESA/CSA/Bezanson et al. 2024 e Wold et al. 2025a

Una popolazione di galassie minuscole ma potenti

Le galassie scoperte dal team NASA–UNCOVER sono oggetti estremamente compatti: per ottenere una massa stellare pari a quella della Via Lattea, sarebbero necessarie tra 2000 e 200 000 di queste galassie. Nonostante ciò, si sono rivelate tra le principali candidate a spiegare il budget energetico necessario alla reionizzazione. Il motivo risiede nella loro intensa attività di formazione stellare (i cosiddetti “starburst”) e nella loro struttura a bassa massa, che facilita la fuoriuscita della luce ultravioletta.

Le galassie a bassa massa trattengono meno gas neutro nei dintorni, permettendo alla luce ionizzante di attraversare più facilmente lo spazio interstellare e fuoriuscire nel mezzo intergalattico. Inoltre, i rapidi processi di formazione stellare generano venti stellari e radiazione sufficienti a creare “corridoi” nel gas, facilitando la fuga dei fotoni UV. Un meccanismo simile è osservabile anche in galassie attuali come le cosiddette green peas, che rilasciano fino al 25% della loro radiazione ionizzante nell’ambiente circostante.

Il metodo usato dagli astronomi per identificare queste galassie prevede la rilevazione della linea di emissione dell’ossigeno doppiamente ionizzato (OIII), che emette luce verde visibile nell’Universo primordiale. Con l’espansione dell’Universo, questa luce viene spostata verso l’infrarosso, dove può essere rilevata da Webb. La combinazione tra selezione spettroscopica e lente gravitazionale ha quindi permesso di osservare sorgenti altrimenti troppo deboli per essere rilevate, aprendo una nuova finestra sulla popolazione galattica primordiale.

A sinistra, una vista a infrarossi ingrandita dell’ammasso di galassie Abell 2744 con tre giovani galassie con formazione stellare evidenziate da diamanti verdi. La colonna centrale mostra i primi piani di ogni galassia, insieme alle loro designazioni, la quantità di ingrandimento fornita dalla lente gravitazionale dell’ammasso, i loro redshift (mostrati come z – tutti corrispondono a un’età cosmica di circa 790 milioni di anni) e la loro massa stimata di stelle. A destra, le misurazioni di NIRSpec confermano che le galassie producono una forte emissione alla luce dell’ossigeno doppiamente ionizzato (barre verdi), indicando che è in atto un’intensa formazione stellare. Credits: NASA/ESA/CSA/Bezanson et al. 2024 e Wold et al. 2025

La tecnica della lente gravitazionale: osservare l’invisibile

Uno degli elementi chiave della ricerca è stato l’utilizzo dell’ammasso Abell 2744 come lente gravitazionale. Questo ammasso massiccio, distante circa 4 miliardi di anni luce, piega la luce proveniente da oggetti molto più lontani, amplificandone la luminosità apparente. Il programma UNCOVER ha sfruttato questa lente naturale per osservare porzioni di cielo altrimenti irraggiungibili. In questo modo, ha permesso a Webb di rilevare dettagli di galassie estremamente deboli ma cruciali per comprendere l’evoluzione dell’Universo.

Le immagini ottenute con la NIRCam sono state analizzate per identificare sorgenti puntiformi che mostravano segni di intensa formazione stellare. Venti di queste galassie sono state poi osservate più nel dettaglio con lo spettrografo NIRSpec, ottenendo dati sulla composizione chimica e sulle caratteristiche fisiche del gas interstellare. La presenza della linea verde dell’ossigeno ionizzato ha confermato l’alta energia dei processi in atto.

Questa scoperta si inserisce nell’insieme di indagini scientifiche per cui il James Webb è stato progettato: comprendere l’origine delle prime galassie e le trasformazioni dell’Universo nei suoi primi miliardi di anni. I risultati ottenuti dal team UNCOVER suggeriscono che galassie piccole e difficili da rilevare abbiano avuto un impatto sproporzionato, contribuendo in modo decisivo a rendere l’Universo trasparente alla luce.

Ti piace questo articolo? C’è molto di più!

Su ORBIT avrai accesso ad approfondimenti, rubriche, report e analisi, live, interviste e alla nostra community, oltre che a rubriche dedicate anche al mondo dell’astronomia. Ti piacerà!

© 2025 Astrospace.it Tutti i diritti riservati. Questo articolo può essere riprodotto o distribuito integralmente solo con l’autorizzazione scritta di Astrospace.it o parzialmente con l’obbligo di citare la fonte.