Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 1610, Galileo Galilei puntò un telescopio rudimentale, da lui stesso perfezionato, verso Giove. Osservò così per la prima volta quelli che apparvero come tre piccoli punti luminosi vicino al pianeta, che lo scienziato descrisse inizialmente come “stelle fisse”, poiché sembravano allineate con Giove.
Continuando a osservare quel quartetto, però, Galileo si rese conto che le “stelle” cambiavano posizione notte dopo notte, apparendo e scomparendo in modo regolare, come fossero occultate da Giove… o si muovessero attorno a esso. E il 13 gennaio riuscì a osservare anche un quarto oggetto.
I tre punti erano Io, Europa e Callisto, e il quarto Ganimede, e Galileo aveva appena osservato per la prima volta quelle che ora conosciamo come le “lune galileiane”, ovvero i quattro satelliti più grandi di Giove.
Il telescopio di Galileo
Il telescopio di Galileo era un rifrattore, composto da una lente convessa utilizzata come obbiettivo e una lente concava come oculare. Questa configurazione ottica era innovativa per l’epoca e si basava sui principi ottici descritti dai primi cannocchiali olandesi, che Galileo migliorò significativamente per ottenere un ingrandimento maggiore e immagini più nitide.
Il tubo, generalmente costruito in legno o metallo, fungeva da struttura portante per le lenti, garantendo il corretto allineamento ottico. La lente convessa dell’obiettivo raccoglieva la luce proveniente dagli oggetti celesti, piegandola per formare un’immagine reale, che veniva poi osservata attraverso la lente concava. Quest’ultima svolgeva la funzione di ingrandire l’immagine, rendendola visibile all’occhio umano.
Il telescopio di Galileo presentava alcune limitazioni tecniche: il campo visivo era stretto, rendendo difficoltosa l’osservazione di oggetti molto estesi, e l’immagine tendeva a essere distorta ai bordi a causa delle aberrazioni cromatiche e sferiche delle lenti. Nonostante ciò, lo strumento era estremamente avanzato per l’epoca, e la sua configurazione permetteva un ingrandimento di circa 20 volte, sufficiente per distinguere dettagli che l’occhio umano non avrebbe mai potuto cogliere, come le lune galileiane di Giove.
Quella notte di 415 anni fa
Quei tre piccoli punti luminosi vicini al pianeta che Galileo vide il 7 gennaio 1610, e che in un primo momento identificò come “stelle fisse”, furono registrati scrupolosamente nelle sue annotazioni. Galileo era convinto di trovarsi di fronte a un fenomeno interessante, ma ancora inspiegabile.
Nelle notti successive, lo scienziato tornò a osservare Giove. Scoprì che i tre oggetti avevano cambiato posizione rispetto al pianeta, e ne individuò un quarto. Continuando a osservarli, Galileo si accorse che si muovevano in modo regolare, a volte precedendo e altre volte seguendo Giove, ma senza mai allontanarsi oltre un certo limite. Questo comportamento suggeriva che non fossero stelle fisse, ma corpi in orbita attorno al pianeta.
Entro il 15 gennaio, Galileo era giunto a una conclusione rivoluzionaria: quegli oggetti non potevano essere altro che satelliti naturali di Giove. Le sue osservazioni si basavano su 65 registrazioni dettagliate, che documentavano il moto regolare e ripetitivo di questi corpi celesti. Fu un’epifania scientifica: per la prima volta si dimostrava che non tutti i corpi celesti orbitavano attorno alla Terra, mettendo in crisi il sistema geocentrico tolemaico e provando quello copernicano.
Galileo soprannominò queste lune Astri Medicei, in onore di Cosimo II de’ Medici, suo mecenate, e pubblicò i risultati nel suo celebre trattato Sidereus Nuncius pochi mesi dopo, aprendo una nuova era nell’esplorazione del cosmo.
Perché le lune di Giove non erano mai state viste prima?
Prima dell’invenzione del telescopio, il cielo era osservato esclusivamente a occhio nudo, e le capacità umane di discernere dettagli fini erano inevitabilmente limitate. Sebbene Giove fosse visibile a occhio nudo come una brillante “stella errante” (pianeta), le sue lune galileiane erano troppo piccole e troppo vicine al pianeta per essere distinte senza l’ausilio di uno strumento ottico.
Le lune galileiane hanno una luminosità relativamente bassa rispetto a Giove e, soprattutto, si trovano molto vicine al pianeta. A occhio nudo, la luce riflessa da Giove tende a sovrastare quella delle sue lune, rendendole praticamente invisibili. Inoltre, il loro moto è rapido: orbitano attorno al pianeta in pochi giorni, causando cambiamenti di posizione che avrebbero potuto passare inosservati anche a osservatori molto attenti.
Un altro motivo è che le osservazioni celesti prima dell’epoca di Galileo erano spesso limitate dalla tecnologia rudimentale e dalla mancanza di metodologie scientifiche sistematiche. Gli astronomi antichi, come Tolomeo e i loro successori medievali, non disponevano degli strumenti per osservare dettagli così minuti, e molte delle loro teorie erano basate su modelli filosofici piuttosto che su osservazioni accurate.
Cosa sappiamo ora delle lune galileiane
Le lune galileiane sono tra i corpi celesti più studiati del Sistema Solare, destinazioni importanti per l’esplorazione spaziale e la comprensione dell’evoluzione planetaria.
Io, la più vicina al pianeta, è il corpo vulcanicamente più attivo del Sistema Solare. La sua superficie è costellata da vulcani in eruzione costante, alimentati dal riscaldamento mareale causato dall’interazione gravitazionale con Giove e le altre lune. Questo calore interno modella continuamente la sua superficie. Dal alcuni mesi la sta studiando da vicino la missione Juno della NASA.
Europa, leggermente più distante, è uno degli obiettivi principali nella ricerca di vita extraterrestre. Sotto la sua crosta di ghiaccio spessa km si nasconde un oceano globale d’acqua liquida, riscaldato dalle stesse forze mareali che agiscono su Io. Questo oceano, potenzialmente ricco di composti organici e minerali, potrebbe fornire un ambiente favorevole allo sviluppo della vita. Dal 2030 sarà studiata da vicino da Europa Clipper.
Ganimede, la luna più grande del Sistema Solare, è unica per il suo campo magnetico interno, l’unico conosciuto tra le lune. È ricoperta da una combinazione di ghiaccio e roccia, e si ritiene che anch’essa ospiti un oceano sotterraneo. Il suo studio è cruciale per comprendere la diversità dei mondi ghiacciati. Si tratta dell’obbiettivo principale della missione JUICE dell’ESA, partita nel 2023 e in arrivo nel sistema di Giove nel 2031.
Callisto, la luna più esterna, è punteggiata di crateri antichi che testimoniano una storia geologica stabile e relativamente tranquilla. Anche questa luna potrebbe ospitare un oceano sotterraneo, benché meno profondo rispetto a quello di Europa.
Le missioni spaziali passate, come Galileo, hanno ampliato enormemente la nostra conoscenza dei satelliti medicei, e ci hanno permesso di conoscere tutte queste e molte altre caratteristiche. Ora ci aspettano altri anni di importanti scoperte, nello studiare un sistema che sembra quasi un sistema planetario su scala più piccola, e soprattutto per questo ha così tanto da raccontare.
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