Il mese scorso ho parlato di Mars Sample Return, concludendo che ero ottimista riguardo al fatto che presto il programma ESA-NASA potesse rimettersi in carreggiata e sulla via giusta. Nel frattempo ci sono state le elezioni negli USA, e l’inclusione di Elon Musk nella futura compagine di governo del presidente eletto Donald Trump. E d’improvviso tutto è diventato più incerto, più instabile.
In questo contesto, oggi voglio parlare della Luna, di Artemis e in particolare del super-lanciatore della NASA, lo Space Launch System, o SLS, che dovrà portare i futuri astronauti verso il nostro satellite naturale.
La storia di SLS nasce da una catena di fallimenti. E inizia nel 2004, quando il presidente Bush decise di cancellare il programma STS, cioè lo Space Shuttle, che non solo costava uno sproposito, ma aveva anche causato la morte di ben quattordici astronauti in due incidenti diversi in poco più di cento missioni. In sostituzione dello Shuttle fu concepito il super-lanciatore Ares, parte del programma Constellation, che doveva trasportare astronauti anche sulla Luna e su Marte.
Ma anche questo si rivelò presto fallimentare: costi che aumentavano vertiginosamente e tempi di sviluppo che si allungavano inesorabilmente. Finché nel 2010 il nuovo presidente Obama prese una decisione epocale, che avrebbe provocato il terremoto che ha portato alla nascita e crescita di nuove aziende che forniscono servizi di lancio come SpaceX: cancellare il programma Constellation, e allo stesso tempo far nascere l’iniziativa di commercializzazione dei lanci spaziali.
Non passò molto tempo che alla porta di Obama si presentarono i senatori degli Stati dove si trovano il Marshall Space Center della NASA e le fabbriche di aziende come Boeing, Lockheed Martin e Northrop Gumman, che lavoravano al Constellation. Questi gli fecero capire che la sua iniziativa era lodevole, ma che doveva trovare il modo di evitare un tracollo delle aziende spaziali tradizionali.
Fu così che Obama dovette inventare qualcosa che salvasse capra e cavoli, mantenendo un certo flusso di fondi pubblici verso queste aziende. La soluzione fu di chiedere loro di costruire un lanciatore più piccolo e meno costoso dell’Ares, ma sempre abbastanza potente da permettere di raggiungere almeno qualcuno degli obiettivi originali, ad esempio portare esseri umani sulla Luna. Era nato l’SLS (che qualche maligno ancora oggi chiama Senate Launch System).
Ma per vari motivi anche lo sviluppo di SLS procedette a rilento, accumulando, dal 2011 al 2022, anno del primo lancio, un costo di oltre 23 miliardi di dollari, circa due miliardi all’anno. Nel frattempo dalla parte dei lanciatori commerciali i progressi sono stati enormi. Sono subito nate varie aziende e una di esse, SpaceX, ha avuto un successo tale da diventare dominante a livello mondiale.
Ma allo stesso tempo cresceva nel Senato anche un secondo argomento a favore dell’SLS: la preoccupazione della dipendenza nazionale da una sola azienda, SpaceX, per un settore strategico come l’accesso allo spazio. Così il programma SLS, nonostante i ritardi e i costi esorbitanti, non fu mai messo veramente in discussione. Anche il programma lunare Artemis, primo cliente di SLS, fu legato indissolubilmente al nuovo super-lanciatore, anche se intanto SpaceX si era assicurata una buona fetta della torta lunare, vincendo il contratto per la fornitura dello Human Landing System, il modulo di allunaggio lanciato indipendentemente verso la Luna da uno Starship, il nuovo super-lanciatore di SpaceX.
Intanto lo sviluppo di SLS, almeno della sua prima versione, è stato completato nel 2022, con il primo, e finora unico lancio di Artemis, un volo senza equipaggio della capsula Orion verso la Luna.
Ma anche le condizioni al contorno si sono intanto evolute. Vari tentativi di ridurre i costi operativi di SLS sono falliti, anzi le stime dei costi di lancio, che oggi già superano i due miliardi di dollari, continuano a crescere. Anche la dipendenza da SpaceX delle attività spaziali istituzionali americane ha continuato ad aumentare. Prima con l’uso sempre più esteso del razzo Falcon Heavy per lanci militari. E poi con l’assegnazione a SpaceX di un contratto miliardario per la costruzione di Starshield, una costellazione per telecomunicazioni riservata all’uso militare da parte della US Space Force.
E arriviamo quindi a oggi, anzi, all’inizio del mese scorso, con la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali USA e soprattutto la nomina di Elon Musk all’interno della sua futura compagine governativa. Un po’ tutto il mondo istituzionale negli USA sta tremando, dopo questi eventi. Nel settore spaziale non è difficile immaginarsi uno scenario nel futuro immediato che porti SpaceX a diventare l’unico vero fornitore del governo USA, spazzando via la resistenza residua. Esattamente lo scenario che il Senato temeva e cercava di evitare quando si attaccava a Boeing e Lockheed Martin e al loro progetto perdente, SLS.
Immagino che queste preoccupazioni siano ancora presenti nella politica americana.
Ma Donald Trump ha mostrato di non avere grande interesse per la politica industriale, cosa del resto poco sorprendente per un imprenditore. E la nomina di Musk nel gruppo di governo, ignorando spudoratamente gli evidenti e forti conflitti di interessi che questa fa sorgere, ne è la conferma. Lo scenario che vede una crescente, anche totale dipendenza del governo da SpaceX sembra dunque essere quello più probabile per l’immediato futuro delle attività spaziali americane. Al punto che si cominciano a leggere articoli in cui Boeing ventila addirittura una sua uscita dal business dello spazio.
Anche se è per ora difficile dire se questa sia davvero l’accettazione della sconfitta finale da parte dell’industria spaziale tradizionale, o non piuttosto una mossa per attirare l’attenzione della nuova amministrazione sui problemi (chiusura di fabbriche, fallimenti di aziende, perdita di decine di migliaia di posti di lavoro) che sorgerebbero continuando sulla strada che sembrano avere intrapreso.
E Artemis? Certo, considerando le sue difficoltà tecniche – e non solo per via di SLS – e i suoi costi spaventosi e crescenti, viene naturale pensare che il programma sarà uno dei primi ad essere messo in discussione. Non la sua esistenza, che è ancora fortemente giustificata dalla competizione geopolitica con la Cina, ma più probabilmente la sua intera architettura, a favore di un ruolo maggiore per SpaceX, naturalmente.
Ma questo è davvero un male? Da quello che ho letto e capito di Artemis, la sua architettura è oggi basata su lanci – costosissimi e poco frequenti, mediamente uno all’anno – di astronauti verso l’orbita lunare a bordo della capsula Orion usando il lanciatore SLS. Separatamente SpaceX lancia il modulo di allunaggio in orbita terrestre con Starship, dove resta parcheggiato in attesa di essere rifornito di propellente da vari lanci successivi di altre Starship. Quanti lanci? “In the high teens” disse qualche mese fa un dirigente della NASA.
Si parla di 16 lanci, anche se Musk insiste che non saranno più di otto. Ma che siano otto o sedici, devo dire che, basandomi sulle poche informazioni a mia disposizione, non riesco davvero a capire perché sia necessario un tale numero di lanci.
Possibile che per portare avanti e indietro un paio di astronauti tra la Terra e la Luna, cosa che oltre mezzo secolo fa si faceva con un solo lancio del Saturn V, oggi ne servano almeno una decina? Anche l’idea della Gateway, la stazione orbitale lunare che dovrebbe ospitare, per missioni future, gli astronauti di Artemis in viaggio da e per la Luna, può essere facilmente attaccata e messa in discussione. Il recente annuncio di un ritardo delle missioni Artemis II e III, attribuito ai problemi tecnici con lo scudo termico di Orion, per me non è altro che un indizio che la NASA si aspetta cambiamenti nel programma una volta instauratasi la nuova amministrazione, e sta prendendo tempo.
Assumendo dunque che lo scenario più attendibile oggi sia che il nuovo governo USA una volta preso il potere cestinerà l’SLS, trasformando Artemis in un programma prevalentemente basato sulle capacità esistenti e future di SpaceX, che aspetto prenderebbe in questo caso la futura architettura?
Il cambiamento minimo che posso immaginare è semplicemente la sostituzione di SLS con un Falcon Heavy. Questo se capisco bene dovrebbe essere in grado di portare una capsula Dragon in orbita lunare (lo aveva già proposto l’ex capo della NASA Jim Bridenstine nel 2019), o magari lo si potrebbe anche adattare a portare la capsula Orion, nel caso si volesse salvare l’aspetto di cooperazione con l’Europa (anche se dubito che la cooperazione internazionale sia un interesse prioritario per Trump).
Un’alternativa è che si vada oltre, abbandonando del tutto SLS e Orion e realizzando l’intero programma solo con Starship. Francamente non sono in grado di immaginare quanti lanci servano in questo caso, ma evidentemente questo non è un problema che possa preoccupare Musk. Anzi, da parte sua più lanci del suo Starship vende alla NASA, più si avvicina ai suoi obbiettivi di ridurne i costi.
In questo scenario non saprei nemmeno cosa dire di Gateway. Forse potrebbe essere l’unico elemento di Artemis a rimanere intatto dopo la possibile rivoluzione Musk. Dopo tutto anche nello scenario attuale la Gateway viene costruita usando lanci di SpaceX (Falcon Heavy in questo caso). Ma potrebbe benissimo cadere anch’essa vittima della scure: dopotutto è un elemento difficile da giustificare, soprattutto nel breve termine, quando l’obiettivo è semplicemente di riportare americani sulla Luna, e soprattutto di farlo prima che ci riescano i Cinesi.
Infine si potrebbe ipotizzare, considerando l’ossessione di Musk per Marte, che la nuova amministrazione abbandoni del tutto la Luna, per puntare direttamente al Pianeta Rosso. Trovo questo poco probabile, anche perché contrario agli interessi immediati di SpaceX. Ma non me la sento di escluderlo a priori.
Quale di questi o altri scenari ipotizzabili si materializzerà? Trump ci ha già abituato a decisioni sorprendenti, che nessuno era stato in grado di prevedere, come quella recentemente annunciata di mettere il miliardario Jared Isaacman a capo della NASA, tra l’altro confermando e rafforzando con questa scelta il suo deciso orientamento a favore di SpaceX. E con Musk al suo fianco, che ha forti interessi personali da portare avanti e anche lui ben pochi scrupoli, possiamo attenderci davvero di tutto. D’altra parte bisogna anche vedere quanto forti saranno le resistenze al cambiamento da parte della politica e soprattutto delle aziende spaziali tradizionali, o anche di quelle concorrenti di Musk.
La forza di una democrazia si misura anche in questo, nella sua capacità di ostacolare i progetti di un singolo, in difesa dell’interesse comune. Una sola cosa è sicura: che ne vedremo delle belle.