Durante l’International Astronautical Congress (IAC) 2024, abbiamo incontrato Massimo Bercella, CEO dell’azienda Bercella.
Bercella è un’azienda italiana che lavora nel settore dei materiali compositi avanzati, con una lunga esperienza nella progettazione e produzione di soluzioni innovative per applicazioni spaziali, aeronautiche e industriali. Fondata nel 1996, la società fornisce applicazioni anche in ambito spaziale, un settore che produce circa il 30% del loro fatturato, come ci ha detto il loro CEO.
Negli ultimi anni, Bercella ha consolidato il suo ruolo nel settore spaziale, collaborando con le principali agenzie e aziende per lo sviluppo di strutture leggere e resistenti, essenziali per le missioni spaziali. Costruiscono ad esempio alcuni elementi del razzo Vega, in particolare il basamento del sistema di rilascio dei satelliti, o la struttura dei pannelli solari dei satelliti, fra cui alcuni di quelli della costellazione IRIDE.
Ci può raccontare cos’è Bercella, cosa ha fatto nel corso degli anni e cosa fa oggi?
Bercella è una società che è attiva dal 1996 nella progettazione e produzione di componenti in materiali compositi, principalmente fibra di carbonio, per due grandi aree.
Una tradizionalmente automotive e motorsport, essendo noi un’azienda in provincia di Parma, quindi nel cuore della Motor Valley emiliana.
L’altra, legata all’aerospace e difesa, all’interno della quale lo spazio è stato un mercato che abbiamo iniziato a esplorare in maniera continuativa dal 2015-2016 e oggi genera, in base un po’ agli anni, tra il 25% e il 30% del nostro fatturato.
Lavoriamo su diversi tipi di progetti, ma principalmente ci occupiamo di progettare e produrre componenti strutturali per i satelliti, o i substrati per i pannelli solari. Come quello che puoi vedere qui, che è la struttura su cui il nostro cliente incolla il PVA, quindi le celle solari per tutti i loro circuiti per alimentare il satellite.
La vostra specialità è proprio il materiale composito, o meglio, le tecnologie composite. Ci può raccontare un po’ meglio di cosa si tratta?
Le tecnologie composite sono al pari di tante altre tecnologie per la produzione di componenti molto leggeri, e quindi sono a disposizione dei progettisti e degli ingegneri in vari ambiti.
Noi ci occupiamo di processi di trasformazione, quindi compriamo la fibra di carbonio e la trasformiamo in prodotto finito. La nostra expertise sta nel fornire un pacchetto completo e verticale, quindi partiamo dalla specifica del cliente che chiede un componente con determinate dimensioni per una certa funzione, facciamo tutta la parte di progettazione, calcoli strutturali, anche calcoli più specialistici appoggiandoci ai partner, produciamo le attrezzature, i prototipi, fino a una produzione di serie.
Nel mondo dello spazio fino a qualche anno fa questo comportava realizzare un pezzo di una missione scientifica. Poi abbiamo iniziato a entrare in qualche progetto commerciale tradizionale, quindi satelliti geostazionari, 2-3-4 satelliti all’anno. Adesso stiamo entrando nel mondo delle costellazioni, quindi centinaia o migliaia di pezzi all’anno.
Per cui la nostra competenza va sia nella parte progettuale, ma anche nella parte co-produttiva, nell’avere l’heritage e i processi qualificati per poter essere immediatamente pronti a rispondere ai bisogni dei clienti.
Prima mi ha citato che un 25-30% del vostro fatturato deriva da progetti spaziali. Crede che questo numero possa aumentare, quindi che il vostro impegno nello spazio possa crescere, oppure rimarrà sempre questa percentuale, con numeri assoluti magari più alti?
Lo spazio è uno dei settori su cui stiamo puntando di più, quindi la maggior parte dei nostri sforzi commerciali sono dedicati a un aumento del settore spazio. Da quasi 10 anni ormai ci crediamo molto, vogliamo essere pronti per quando il mondo delle costellazioni arriverà anche in Europa.
Qualcosa sta iniziando a muoversi, ma abbiamo la certezza che il mercato tradizionale sta invece un po’ calando, quindi i geo-stazionari si stanno riducendo, per cui per ora introduciamo nuovi clienti ma abbiamo produzioni che un pochino si ridimensionano. Comunque, è sicuramente il settore su cui puntiamo di più in questo momento.
Nello spazio, fino a solo 5-10 anni fa, ogni cosa che si faceva era per un’applicazione specifica, per quel cliente, per quel progetto. Ora la produzione in serie sta anche portando nello spazio l’inserimento di materiali, compositi in questo caso, che possono essere generici. Questi materiali sono gli stessi che magari si montano su un’auto, che poi si montano anche su un satellite, oppure c’è ancora una differenza tra i due casi?
Siamo ancora in una fase di differenza, sì. Perché abbiamo capito che lo spazio è un mondo molto conservatore dal punto di vista dei materiali, quindi si va avanti per heritage. Quel materiale lì l’abbiamo usato la volta scorsa, ha passato tutti i test di qualifica, usiamolo ancora.
Però, a differenza di 5-10 anni fa, i clienti tutte le volte dicono che se abbiamo un materiale alternativo da proporre, loro ascoltano. Mentre 10 anni fa era impensabile proporre un materiale alternativo. Adesso, se ce l’hai nel cassetto e pensi che funzioni, allora se ne può parlare. Probabilmente serviranno altri 10 anni per arrivare alla fase successiva.
Quindi siamo in una fase di transizione, ma si arriverà comunque ad avere anche nello spazio materiali standard?
Quella per forza, perché con l’aumento dei volumi, non possiamo avere nel materiale un collo di bottiglia. I materiali utilizzati per applicazioni spaziali hanno sempre avuto volumi di produzione ridotti, ma questo non significa che il loro impiego fosse limitato. Non sono sicuro di quanti produttori siano disposti ad aumentare la produzione di questi materiali specializzati.
Lo spazio, con il suo duplice ruolo civile e di difesa, sta tornando a una visione meno globale, con mercati come quello americano, europeo, russo e cinese che operano separatamente. In questo contesto, come vedete la vostra internazionalizzazione? Qual è la proporzione tra clienti italiani e internazionali?
Sicuramente la nostra vocazione è per l’export. Il mercato interno, nel settore spaziale e non, non basta per supportare la crescita. Oggi facciamo circa il 35% di export, una percentuale che è leggermente calata con il covid purtroppo. Prima del covid siamo arrivati a toccare più del 50%, e poi per evidenti motivi si è ridotto.
Purtroppo quello spaziale è un mercato governato molto ancora dal geo-return, quindi dalle politiche ESA, per cui qualche sorta di protezionismo all’interno dei vari stati membri continuerà a esserci. Abbiamo capito in questi anni che per servire per esempio il mercato americano, che rimane di gran lunga il mercato più interessante per chiunque faccia spazio, bisogna essere negli Stati Uniti, a meno che uno non abbia una tecnologia o qualcosa che sia così incredibile, che non sia proprio presente sul territorio americano.
Per cui c’è sempre una dualità in quello che si fornisce, per fornire agli Stati Uniti bisogna essere negli Stati Uniti. E quella è una cosa che abbiamo in programma, però sul medio termine.
Torniamo ai materiali: qual è, secondo lei, l’applicazione più interessante dei materiali compositi nel breve o medio termine, che però non è ancora utilizzata attualmente?
Adesso secondo me c’è una buona ricerca in Europa legata alle strutture flessibili. Abbiamo un gap rispetto agli americani, per esempio nel mondo dei solar array o dei pennelli solari.
In Europa non produciamo ancora pannelli arrotolabili o impacchettabili in modo diverso dai classici wing solar array. Quindi, sia in questo ambito che per antenne o altre strutture, credo che un nuovo trend sarà quello di sviluppare strutture molto grandi, compattabili per il lancio, che possano poi dispiegarsi in orbita.
Per concludere, volevo parlare brevemente dello IAC, spesso definito il più grande evento spaziale al mondo, che quest’anno si tiene in Italia. Essendo un’occasione che non si ripeterà presto, quanto è importante per voi, pur non essendo un’azienda esclusivamente spaziale, partecipare a eventi così focalizzati sullo spazio? Quante opportunità possono nascere in termini di nuovi partner o collaborazioni?
È fondamentale. L’Italia è il secondo o terzo contributore a livello di budget europeo, e sappiamo che l’ecosistema italiano nello spazio e negli altri settori è fatto di piccole aziende come la nostra. Anche se non abbiamo la possibilità di essere presenti a tutti gli eventi di settore che ci sono, lo IAC a Milano ci ha dato l’opportunità di magari investire meno, però poter avere un ritorno maggiore. Quindi penso che sia fondamentale sia per noi che per tutte le aziende piccole e medie come noi che fanno tanto dell’ecosistema spazio italiano.
Ringraziamo Massimo Bercella per la sua disponibilità per questa intervista.
Allo IAC2024 stanno succedendo tante cose. In questa pagina abbiamo raccolto tutte le notizie, annunci, interviste e contenuti relativi all’International Astronautical Congress 2024.