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Proteggere le foreste dall’alto. Come usiamo i satelliti per la salvaguardia forestale

Mattia Simeoni di Mattia Simeoni
Novembre 11, 2021
in Agenzie Spaziali, NASA, News, Scienza
Una foto della forestra amazzonica del Brasile dal satellite Landsat 8. Credits: NASA

Una foto della forestra amazzonica del Brasile dal satellite Landsat 8. Credits: NASA

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Si sta concludendo in questi giorni la conferenza sul clima Cop26 di Glasgow, durante la quale ancora una volta è stata ribadito l’importanza di preservare le foreste. Sono stati così promossi programmi nei quali i satelliti per l’osservazione terrestre forniscono una base di dati sempre più esaustiva. Le performance sempre crescenti e l’accesso e fruizione dei dati sono ormai possibili anche dai luoghi più disparati e permettono attività di tutela sempre più efficaci, dai tavoli governativi fino al cuore delle foreste stesse.

Come i satelliti vedono la deforestazione

Oggi diversi programmi di contrasto alla deforestazione sono attivi in molte parti del mondo. Tuttavia, in diverse aree, Sud America e Africa su tutte, il fenomeno rimane in crescita. Lo è però anche la deforestazione illegale (più o meno tollerata, se non incentivata, dai governi), volta soprattutto a liberare aree per scopi minerari o agricoli. I satelliti sono quindi sempre più una risorsa efficace di monitoraggio. Essi permettono, tramite il confronto delle immagini con quelle di un’osservazione precedente, di rilevare in pochi giorni e su scala globale eventuali cambiamenti non previsti nella distribuzione di vegetazione.

A livello orbitale, per ottimizzare il confronto si predilige l’orbita eliosincrona che, grazie alla sua inclinazione negativa, riesce a compensare la rotazione del Sole rispetto alla Terra e assicurare le stesse condizioni di illuminazione della zona (si passa su una certa località sempre alla stessa ora del giorno). Questa orbita può avere diverse inclinazioni e quote, dipendenti tra loro. Il compromesso ritenuto migliore è generalmente quello che fissa l’altezza superiore a 600 km e l’inclinazione a circa 98 gradi. In questo modo si limitano gli effetti della resistenza atmosferica e si osservano quasi tutte le latitudini terrestri.

Con la quota vincolata, la performance dell’osservazione dipende principalmente dalla strumentazione imbarcata. Quando il primo satellite Landsat 1 della Nasa inaugurò questo tipo di missione nell’ormai lontano 1972, la risoluzione di 80 m permetteva di valutare effetti solo su larga scala. I pochi metri dei sistemi odierni (30 metri per il Landsat 9, 10 metri per i satelliti Sentinel europei, anche meno per altri) permettono invece di distinguere oggi quasi il singolo albero.

Timeline dei satelliti del programma Landsat. Credits: NASA.
Timeline dei satelliti del programma Landsat. Credits: NASA.

Come combattere la deforestazione dallo spazio

Una capacità utile se si pensa, ad esempio, al selective logging, una pratica ormai diffusa e rivelatasi molto dannosa per l’ecosistema, che prevede il taglio solo di alcuni alberi di un gruppo (in genere i più grandi e pregiati destinati al commercio del legno). Per contrastare questo metodo di disboscamento, volutamente molto elusivo, è necessario il massimo sforzo di confronto fra immagini satellitari. Almeno di pari importanza, ai fini della prestazione, è la larghezza dell’area di acquisizione, che ha impatto sul tempo di rivisitazione dell’area.

Le orbite di questi satelliti sono progettate per osservare tutto il globo e, potendo inquadrare un’area più larga durante ogni passaggio, saranno necessari meno sorvoli per coprire tutto il globo e ritornare su un qualunque luogo. Ogni passaggio orbitale sarà molto vicino al precedente verso i poli, mentre avrà il massimo distanziamento all’Equatore, per via della massima circonferenza terrestre (si immagini ogni passaggio come se disegnasse uno spicchio di una sfera).

Il tempo di rivisitazione, in zone prossime all’Equatore a cui ci si riferisce parlando di deforestazione, sarà dato approssimativamente da questo massimo distanziamento diviso per l’area acquisita (si ottiene il numero di sorvoli) e moltiplicato poi per la durata di un orbita. E’ anche grazie all’incremento di footprint dai 185 km del Landsat ai 290 km del Sentinel 2 che si è passati a tempi di rivisitazione della stessa area da 16 a 10 giorni (che diventano 5 considerando che i Sentinel 2 sono una coppia, il 2A e il 2B). Tuttavia, questi giorni rischiano di risultare teorici, perché molti di questi sorvoli, soprattutto nell’area di maggior interesse che è quella equatoriale/tropicale, sono afflitti da un serio problema: la nuvolosità.

Le potenzialità del SAR

L’iter di riconoscimento di una minaccia prevede sempre un rilevamento e almeno una conferma, il che implica almeno un secondo passaggio senza nuvole, che, alle latitudini tropicali di cui stiamo parlando, in alcuni periodi può richiedere anche mesi. Per questo, in termini di ripetizione, più che il tempo in sé, il più importante salto di qualità per questa applicazione lo ha rappresentato l’avvento dell’osservazione radar. Infatti, i sensori elettro-ottici (EO) di Landsat e Sentinel 2 sono passivi, cioè misurano la radiazione che arriva spontaneamente dagli oggetti, un po’ come le classiche fotografie.

Capella Space SAR
Una foto SAR scattata con tecnologia “spot” di Capella Space. La foto ritrae una struttura di raffineria di ExxonMobil nel porto di Singapore. Credits: Capella Space

Lavorano con radiazioni nelle lunghezze d’onda del visibile e dell’infrarosso, che sono ostacolate dalle nuvole. I radar (si fa qui riferimento al SAR – Synthetic Aperture Radar) sono invece attivi, emettono a una lunghezza d’onda maggiore che oltrepassa le nubi e vanno poi a misurare proprio il backscatter, cioè il riflesso, differente a seconda della struttura e dell’umidità dell’oggetto osservato. E’ di questo tipo la strumentazione imbarcata sulla coppia di satelliti europei Sentinel 1A e 1B.

Dai dati satellitari ai programmi di tutela

Queste costellazioni satellitari sono molto costose (diverse centinaia di milioni di euro di satellite più il segmento di terra e il processing), ma coprono una vasta gamma di utilizzi e sono supportati da enti e programmi governativi. Il programma europeo Copernicus, incentrato sui Sentinel, ne è un perfetto esempio. L’accesso ai dati è virtualmente libero, anche se i privilegi, a seconda che si sia un ente dell’UE, un ricercatore o un semplice cittadino, possono cambiare dalla sola visualizzazione al download, riguardare dati di strumentazioni più o meno precise, o essere riferiti ad osservazioni datate nel tempo da poche settimane fino anche ad un anno. Privilegi maggiori possono essere oggetto di richieste di autorizzazione specifiche, acquisto o accordi internazionali.

Per una maggiore indipendenza, si stanno dotando di satelliti analoghi anche paesi che precedentemente acquistavano immagini da altre nazioni: il Brasile, ad esempio, che pure ha in passato stipulato contratti per i dati del satellite inglese UK-DMC2 o del sistema italiano Cosmo SkyMed (all’avanguardia in campo SAR), ha lanciato nel 2021 il satellite Amazonia 1 (60 metri di risoluzione), mentre il Perù ha commissionato quello che ha preso il nome di PerùSat-1 ad Airbus.

Un render del satellite COSMO-SkyMed di seconda generazione. Credits: ASI/Thales Alenia Space
Un render del satellite COSMO-SkyMed di seconda generazione. Credits: ASI/Thales Alenia Space

Tutti questi sistemi hanno contribuito negli anni a quantificare il fenomeno e capirne la natura, ponendo le basi per programmi di contrasto che interessano tanto i paesi esportatori di prodotti derivati dalla deforestazione, quanto quelli importatori, come emerso anche dal recente Cop26, dove l’UE si è impegnata in favore di forniture più etiche.

L’intervento di player privati

Proprio sotto questo punto di vista, le potenzialità crescenti della sorveglianza dallo spazio hanno iniziato ad attrarre anche soggetti diversi da quelli statali, come testimonia l’iniziativa di Nestlé, poi seguita da altre compagnie. L’azienda svizzera ha deciso di avvalersi del servizio Starling, basato sui satelliti EO francesi Spot 6 e 7 (risoluzione fino a 1.5 metri), per monitorare la caratteristica deforestation-free della sua catena di approvvigionamento di olio di palma. I vantaggi, oltre al piano etico, sono di immagine verso clienti e investitori, nell’assicurarsi una supply chain stabile e nel godere di una posizione privilegiata riguardo alle crescenti attenzioni politiche verso la questione ambientale.

Dato che non si parla di soli studi su effetti globali, come può essere lo scioglimento dei ghiacciai, ma di un fenomeno con una componente anche circoscritta e puntuale, l’accesso quanto più generalizzato a questi dati è di fondamentale importanza per poter assicurare una risposta al problema.
La Norvegia, da anni molto attiva nelle politiche di preservazione delle foreste, ha promosso lo scorso anno l’accesso libero agli alert satellitari anche per i paesi più poveri attraverso la piattaforma Planet, mentre il World Resources Institute, con il suo applicativo Forest Watcher, ha portato questo servizio addirittura fino a tutti gli utenti.

Deforestazione a portata di smartphone

L’applicazione Forest Watcher nasce da una collaborazione con l’Università del Maryland, con Google e con altri enti, e sfrutta i principali sistemi fin qui descritti. Scaricando l’app o accedendo da browser è possibile inserire una o più località della fascia compresa tra i due tropici, indicare un intervallo di tempo di interesse e visualizzare gli eventuali alert di possibile deforestazione in corso elaborati dal sistema. Sfruttando l’apposito menù, si può scegliere se visionare solo quelle confermate o anche le provvisorie e soprattutto scegliere se mostrare quelle derivanti dai sistemi GLAD, basato su Landsat, GLAD/2, basato su Sentinel 2, RADD, basato su Sentinel 1, o anche tutte insieme.

Oltre agli alert, è inoltre possibile selezionare la vista della mappa tra quella basata sulla rilevazione nel visibile o quella basata sull’infrarosso. La prima, replicando quello che vede l’occhio umano, è più intuitiva, ma la seconda, che gioca sulla maggiore riflessione nel vicino-infrarosso da parte della vegetazione in salute, permette di enfatizzare il contrasto tra foresta sana e secca.

Studiando le mappe, si potrà riscontrare che, in effetti, coerentemente con quanto esposto prima, il maggior numero di alert è dato dal sistema RADD basato su SAR, ma non è detto che qualcosa che sia sfuggito a quest’ultimo non sia rilevato dagli altri due. Come ricorda lo stesso WRI, infatti, è sfruttando la combinazione dei vari sistemi che si riesce a garantire la massima velocità di rilevamento.

Alcuni utilizzatori molto speciali

La deforestazione illegale in alcuni paesi, specialmente del Sud America, arriva a punte anche dell’80% del fenomeno complessivo. Soprattutto verso questa pratica, la velocità di rilevamento è fondamentale, ma questa risulta inutile se non seguita da una capacità di intervento nella zona, che non sempre gli organi istituzionali riescono a garantire.

Oltre che per ragioni etiche, difendere la foresta è importante per il suo ruolo nella cattura dell’anidride carbonica e per preservare una biodiversità importantissima a fini medici o tecnologici, ma anche perché è tuttora la casa di molte popolazioni indigene. La fondazione americana Rainforest US ha pensato di trasformare queste persone da soggetti da proteggere a elementi attivi nel monitoraggio e contrasto.

Proprio sfruttando l’applicativo di UoM e WRI, Rainforest ha coinvolto diverse comunità forestali di Perù e Brasile andando ad addestrare alcuni di loro per intervenire rapidamente nelle zone critiche. “Quando li abbiamo contattati, e abbiamo iniziato a mostrare loro, mediante le immagini da satellite, che la deforestazione avanzava verso le loro zone, hanno capito che dovevano attivarsi, e velocemente!”, ci racconta Wendy Pineda, operatrice di Rainforest attiva sul campo. In genere questi addetti indigeni, i cosiddetti monitors, lavorano nel più vicino centro dove arriva internet e, riscontrato un alert, tornano nella zona con smartphone e perfino un drone per intervenire direttamente o raccogliere testimonianze per sollecitare azioni ufficiali. “L’addestramento è stato a volte rapido, a volte meno, ma ogni comunità ha trovato il suo modo di usare gli strumenti che gli fornivamo.

Non avevano mai visto uno smartphone, ma hanno imparato e hanno iniziato a pensare di usarli anche per altri scopi, come testimoniare al governo le carenze dell’assistenza sanitaria”. Questa applicazione contrasta la tesi che gli investimenti nello spazio siano in opposizione ai problemi più “terreni” del mondo. Per popolazioni del tutto ignare di satelliti o radar ad apertura sintetica, questi strumenti sono oggi una opportunità di sopravvivenza. Si stima che, nelle loro zone, la deforestazione sia diminuita del 50% nel primo anno di programma e di un ulteriore 20 nel secondo.

Siamo solo all’inizio

Alla domanda se sia effettivamente diminuita o si sia semplicemente spostata, Wendy risponde: “Lavoriamo con molte comunità e certo il tutto migliorerà allargando questo numero, ma già oggi questa collaborazione va oltre l’effettivo del programma. I monitors non si fermano alla loro zona, ma spesso proseguono andando ad avvertire le comunità vicine, anche se non ancora coinvolte nella collaborazione. Quello che noi proponiamo è, infatti, soprattutto un modo di concepire la protezione”.

Un modello, questo, che è complementare alle decisioni di alto livello prese in conferenze come la Cop26, e che dimostra come questi dati siano il perno anche dell’ultima fase dell’attività di protezione, cioè quella da svolgere direttamente sul territorio. E’ questa ad avere il compito di rendere concrete le politiche intraprese. I satelliti forniscono da mezzo secolo dati che arrivano sui più importanti tavoli del mondo. Allo stesso tempo, a distanza di 49 anni dal Landsat 1, permettono oggi ad un indigeno dell’Amazzonia equipaggiato di smartphone alimentato a pannelli solari, di giocare anch’egli un ruolo in questa partita.

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Tags: Cambiamento climaticoCop26CopernicusForesteLandsatsatelliti

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