Si è parlato molto negli scorsi mesi della luminosità dei satelliti Starlink, lanciati da SpaceX per la costruzione di un sistema di internet satellitare per una copertura globale. La loro presenza nel cielo viene vista da molti astronomi, professionisti e appassionati, come un inizio del prossimo futuro in cui l’inquinamento luminoso del cielo notturno sarà ancora più importante.
Se ne è parlato così tanto di questo fatto, anche giustamente, che Elon Musk ha dovuto presentare e poi far lanciare un nuovo prototipo di spacecraft, il DarkSat, ricoperto di pittura nera sul corpo per evitare il più possibile la riflessione verso terra. Il magnate continua comunque a sostenere che l’aumento dei satelliti in orbita sarà inevitabile e che ci dovranno quindi essere sempre più telescopi in orbita come il vecchio Hubble o il nuovissimo James Webb Telescope.
Cosa succede in orbita?
Cos’è che rende il satellite così visibile da Terra tanto da interferire nelle riprese telescopiche? La spiegazione più comune è che i pannelli solari e le antenne riflettono la luce solare, ed è corretto, però parziale… Ci spiega l’effetto che vediamo, ma non cosa effettivamente accade. Infatti, la radiazione solare non è l’unico “flusso termico” che impatta le superfici del pannello e del satellite. Le diverse radiazioni, anche quelle in frequenze non visibili, contribuiscono infatti a scaldare il satellite. Il calcolo della temperatura non è quindi un problema di soluzione elementare; ecco perché non è bastato produrre il DarkSat per risolvere i problemi d’inquinamento luminoso.
Il problema della temperatura è critico per ogni aspetto della vita del satellite, soprattutto per quelle parti come i pannelli solari il cui scopo è letteralmente catturare più radiazione possibile. Un bel disagio, considerando che più si alza la temperatura più si abbassa il rendimento del pannello. Bella la vita eh?
Le cause di perdita di rendimento
Non basta purtroppo calcolare la superficie delle celle, moltiplicare per la potenza del sole su metro quadro e poi moltiplicare per il rendimento della cella (30% per le celle più moderne). In un breve elenco si possono riassumere questi fattori di performance:
- Shadowing, cioè quando una o più celle di un pannello sono in ombra magari perché dietro al satellite stesso. È una condizione che necessita una grande attenzione da parte degli ingegneri elettrici, infatti le altre celle sono illuminate, e quindi producono corrente che proverà a passare anche per le celle oscurate. Se queste ultime non vengono dotate di un percorso di bypass di sicurezza, finirebbero per fare un effetto resistivo, riscaldandosi e alzando la temperatura.
- Pointing, se il satellite è inclinato rispetto ai raggi solari, riceverà meno radiazione rispetto al caso in cui i raggi sono perpendicolari alla superficie attiva.
- Perdite di assemblaggio, dovute al passaggio della corrente in cavi e cablaggi non ideali.
- Fattori ambientali che vanno calcolati sul fine vita. Senza scendere nel dettaglio, il pannello solare è sottoposto all’ambiente spaziale per una durata di tempo variabile tra i 2 e i 15 anni. Ciò significa che particelle elettricamente cariche, ossigeno atomico altamente corrosivo e detriti spaziali lo danneggiano continuamente. Nel tempo si romperanno alcune celle, guastando le proprietà termo-ottiche e diminuendo il rendimento. È necessario addirittura sovradimensionare il pannello basandosi sulla stima di potenza che riuscirà a produrre a fine vita, cioè dopo tutti gli anni previsti nello spazio. È su questa potenza a fine vita che si dimensiona l’intero uso energetico del satellite. In questo modo si sa che potrebbe funzionare anche dopo anni di degrado della sorgente primaria. A inizio vita, quindi, il satellite produrrà più potenza del necessario, che dovrà essere smaltita.
- Temperatura operativa. Di quest’elenco è la variabile più presente come apporto numerico, per via del fatto che esiste per il semplice fatto che il pannello funziona. Non si può scappare da questa perdita.
Da cosa dipende la temperatura di un satellite?
Sul satellite agisce il flusso termico del sole, il flusso termico dell’albedo (sole riflesso dalla Terra) e il flusso termico della radiazione infrarossa della Terra; inoltre, anche dall’interno, se ci sono componenti elettronici in funzione, può arrivare un flusso termico, detto generazione interna.
I flussi ambientali e la generazione interna entrano nel corpo del satellite e devono essere equilibrati in uscita dalla radiazione del satellite, che, come tutti i corpi non luminosi, emette calore nella banda infrarossa. È necessario ricordare inoltre, che nello spazio non esiste la convezione. Ciò vuol dire che, se vi trovaste nello spazio senza una tuta spaziale, oltre a essere morti, nello stesso momento il vostro naso può trovarsi a -180°C e la vostra schiena a +120°C;
Potrebbe sembrare che sia così anche sulla Terra dopo una passeggiata in inverno, ma non è la stessa cosa. Quando capita qui, è perché il vostro corpo ha problemi di termoregolazione e il sangue predilige scaldare le parti importanti che sono esposte al freddo, e non il vostro naso. Ma se vi apriste la giacca, tempo dieci secondi e anche la vostra schiena sarebbe fredda, perché l’aria tende a uniformare la vostra temperatura. Nello spazio ciò non accade.
Questo fatto è un’arma a doppio taglio. Possiamo decidere di scaldare una parte del satellite consci che l’aria non potrà agire per uniformare la temperatura, ma bisogna stare molto attenti che la parte surriscaldata sia termicamente isolata dalle parti più delicate… Se ciò non fosse, il calore si trasmetterebbe per conduzione andando a friggere tutto ciò che incontra sul suo cammino.
La soluzione imperfetta del DarkSat
I pannelli solari sono in genere i punti più caldi di ogni sonda. I loro contatti termici devono essere fatti adeguatamente: devono smaltire il più possibile del loro calore, ma senza diventare una corsia preferenziale per esso, verso l’interno del satellite. Ciò significa che le temperature devono essere calcolate con precisione per ogni momento della missione, considerando le possibili posizioni satellite-sole-pianeta.
Un equilibrio molto precario, facilmente alterabile se si pittura tutto il satellite di nero. Il DarkSat non è infatti stato sviluppato da zero considerando le superfici nere; è uno Starlink pitturato. Il colore nero ha delle caratteristiche termo-ottiche estremamente impattanti: assorbe ed emette radiazioni su tutte le lunghezze d’onda. Si definisce un flat absorber. Il nero crea quindi le condizioni per uno scambio termico perfetto.
Ecco dunque perché la scelta della vernice nera per il DarkSat ha creato più problemi di quanto ne abbia risolti. Se puntato verso lo spazio aperto, smaltirà tutto il calore possibile ma se puntato verso il sole, assorbirà tutta la radiazione fornita della stella, senza rifletterla. Questo renderebbe quindi invisibile il DarkSat, ma ne alzerebbe incredibilmente la temperatura, provocando malfunzionamenti critici.
Energia Elettrica nello spazio è una rubrica in sei articoli dedicata ai metodi di produzione e conversione dell’energia nello spazio, ideata e scritta da Mattia Ghedin. Tutti gli articoli precedenti di questa rubrica possono essere trovati qui.
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