Ieri, 13 ottobre 2020, durante l’International Astronautical Congress, la NASA ha annunciato i primi paesi ad aver ufficialmente firmato gli Accordi Artemis. Otto Stati hanno firmato questi accordi multilaterali di cooperazione internazionale. Cosa sono, nel dettaglio, gli Artemis Accord? Lo abbiamo chiesto all’ Avv. Antonino Salmeri, Ricercatore in Diritto Spaziale alla SES Chair dell’Università del Lussemburgo per conto del Luxembourg National Research Fund (FNR – PRIDE 17/12251371) e Co-Lead dello Space Exploration Project Group per lo Space Generation Advisory Council.
Sul canale Youtube di Astrospace.it abbiamo realizzato un approfondimento apposito sugli Accordi Artemis:
Ieri 8 Paesi hanno firmato gli Accordi Artemis. Australia, Canada, Giappone, Lussemburgo, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Stati Uniti e l’Italia. Sbaglio o questa firma è arrivata un po’ improvvisamente?
Non ce lo aspettavamo sicuramente che oggi ci fossero otto nazioni che hanno già firmato gli Artemis Accord. Sinceramente io credevo che prima delle elezioni americane non sarebbe arrivata nessuna firma. Invece, con questa firma si dimostra che Artemis è un programma che ormai va oltre l’amministrazione Trump. Qualcosa che ormai è stato consolidato nella politica estera americana a prescindere da chi sarà presidente dopo il 3 Novembre.
La firma dell’Italia è una conseguenza naturale della dichiarazione d’Intenti firmata qualche settimana fa dal nostro paese, giusto?
Sì certamente, devo dire che secondo me erano già intenzionati a firmare gli accordi e li avevano negoziati, semplicemente sono arrivati tardi con la dichiarazione, che è stata firmata qualche settimana prima. Evidentemente le negoziazioni degli accordi sono iniziate molto tempo fa e la dichiarazione era poi uno step verso l’annuncio finale degli accordi che quindi sono sì, la naturale conseguenza. Quindi credo che quando è stata fatta la dichiarazione si erano già messi d’accordo per firmare gli accordi. Magari però gli Stati Uniti volevano fare questo grande annuncio allo IAC e quindi allora si è firmato solo quella dichiarazione.
Questo comunque è lo stesso schema seguito con gli altri paesi, perchè anche l’Australia, il Giappone, ecc avevano già firmato la loro dichiarazione tempo fa, il Giappone per esempio lo fece a Luglio.
Questi 8 paesi hanno firmato tutti assieme gli Accordi Artemis, il che non è una cosa comune. E’ un segnale anche verso chi ancora non partecipa ad Artemis?

Credo che sia estremamente significativo. Per come ci era stata presentata all’inizio, l’idea degli Accordi Artemis era quella di presentare accordi bilaterali con tutti i partner, la NASA avrebbe quindi presentato 8 diversi accordi, o per lo meno 8 accordi uguali ma firmati individualmente. Invece hanno firmato un accordo generale che è multilaterale, cioè un accordo che impegna tutti i paesi nello stesso modo con lo stesso documento. Quindi io credo che in realtà sia stato veramente un capolavoro di diplomazia del dipartimento di stato americano. Loro hanno condotto 8 negoziazioni in parallelo cercando di riportare le dichiarazioni ricevute dagli altri partner, per poi convergere verso un testo unico e tutto questo in un anno e durante una pandemia globale. Una cosa particolarmente impegnativa e ci sono riusciti alla grande. Una cosa che sorprende molto
Aver scelto la strada di un documento multilaterale è anche una cosa positiva a livello internazionale. L’ultima clausola degli Artemis Accord dice che qualunque paese intenzionato a farne parte può trasmettere la sua volontà di firmare agli Stati Uniti, che sono i depositari degli Accordi, e la firma verrà aggiunta. E’ quindi un sistema aperto, a cui chiunque domani può aggiungersi.
L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea ad aver firmato, quanto è significativo questo nei confronti dei rapporti con Francia e Germania in ESA?
Questa firma è molto significativa. La presenza dell’Italia fra i membri fondatori [primi firmatari] rafforza una leadership del nostro paese in ambito spaziale. Questo secondo me va detto con molta chiarezza.
L’Italia ha una lunga storia di cooperazione con la NASA, anche a livello bilaterale, è l’unico paese che ha accesso alla ISS sotto due canali, quello della NASA e quello dell’ESA. C’è quindi una forte propensione degli Stati Uniti a considerare l’Italia come uno dei principali partner a livello spaziale al di la del suo inserimento in chiave europea. Tutto questo poi aprirà secondo me grandi riflessioni negli altri paesi dell’Unione Europea, al fine di valutare quale potrebbe essere la loro partecipazione anche in funzione di quello che farà già l’Italia.
Considera che lo Space Station Intergovernmental Agreement (IGA) [l’accordo che regola la nascita e la gestione della ISS ndr] è stato firmato dall’ESA per i paesi europei, qui invece questa cosa non è accaduta. C’è quindi un approccio diverso. Io non credo che la NASA avrebbe voluto fare per forza una cosa del genere, ma è mancata una risposta da parte dell’ESA. Non c’era nessuno da parte dell’ESA a negoziare questo accordo e allora la NASA lo ha concluso solo con due paesi dell’ESA (Italia e Regno Unito).
Questo accordo quindi è un fallimento dell’Agenzia Spaziale Europea. Fra tutti i partner della ISS, a parte la Russia che manca per motivi politici, quello che manca è proprio l’ESA. E manca per sua stessa auto-esclusione. Per l’incapacità di formare una leadership su questi argomenti. Questo quindi mette Simonetta di Pippo in una posizione di grande vantaggio rispetto agli altri. Il fatto che l’Italia abbia partecipato agli Artemis Accord nel silenzio generale di Francia e Germania, è chiaro che forse dev’essere proprio l’Italia a guidare una rinascita in questo senso.
Ci può spiegare in pratica in cosa consistono gli Accordi Artemis?
Artemis è stato annunciato come un programma che naturalmente si rivolge ai partner della Stazione Spaziale Internazionale. Molto spesso si è parlato di continuare la collaborazione della ISS sull’ambito lunare, per tanti anni questo aspetto è stato rappresentato dal Gateway, questa sorta di piattaforma orbitante nello spazio cislunare. Oggi il Gateway non è stato messo da parte, ma è stato “integrato” nel programma Artemis che appunto prevede anche operazioni di superficie.

E’ interessante pensare alla relazione tra questi due programmi: la ISS e il Gateway. L’anno scorso, allo IAC di Washington, ho avuto la possibilità di fare una domanda al panel delle Space Agency. Ancora non erano stati pubblicati gli Accordi Artemis, ma si parlava già di una collaborazione intergovernativa relativa al Gateway. Quando Bridenstine e Worner avevano annunciato di voler concludere questo accordo internazionale, sostanzialmente riproponendo la stessa struttura adottata per regolamentare la ISS, gli ho chiesto se loro pensavano di includere in questo accordo anche le attività sulla superficie, quindi le attività di Artemis.
Mi ricordo che Bridenstine e Worner mi diedero due risposte molto diverse. Worner mi disse che non c’era bisogno di fare accordi internazionali, perchè la sua idea di Moon Village è basata sul creare un ambiente informale, e questa informalità si basa anche sull’assenza di regole rigide che ne regolamentino le attività. E per certi versi lui ha anche ragione. Per esempio l’Intergovernmental Agreement (IGA) che regolamenta la ISS è un fantastico esempio di diplomazia e di regolamentazione di attività spaziali estremamente complesse. Però essendo un trattato, è molto difficile da modificare. Se tu per esempio vuoi aggiungere un altro paese alla ISS, non lo puoi fare liberamente. Devi prima emendare l’accordo, ci vogliono processi di ratifica ecc. Quando la Russia ha deciso di partecipare alla ISS, ci sono voluti anni di trattazioni. Si è dovuto adattare l’Intergovernmental Agreement alla partecipazione russa. Worner non vorrebbe che una cosa del genere succedesse anche sulla Luna.
Bridenstine si è invece dimostrato molto più aperto alla necessità di una regolamentazione, anche se la chiedeva più flessibile.
Poi, sei mesi dopo è uscita la notizia degli Artemis Accord che nella pratica sono la proposta di regolamentazione del programma Artemis. Ogni programma spaziale si svolge sotto la regolamentazione giuridica del paese che lo conduce. Quando si parla di programmi multinazionali, si parla invece di accordi fra i paesi che vi partecipano. Questi accordi, come nel caso di quello della Stazione Spaziale Internazionale, servono a definire quelli che sono i rispettivi ruoli, i rispettivi obblighi e i rispettivi diritti nell’esecuzione del programma. Quindi si dice: nel fare questo programma insieme, vogliamo aderire a questi principi, vogliamo raggiungere questi obiettivi, io ci metto quello, tu ci metti quello, se succede questo facciamo così e via.
Quindi gli accordi Artemis non andranno a sostituirsi e/o a superare alcuni aspetti del diritto internazionale?
Nessuno dei nove principi presentati all’interno degli Artemis Accord è contrario al diritto spaziale internazionale. Anzi, questi principi sono stati elaborati sulla base del trattato sullo spazio extraatmosferico. Molti di questi principi sono un copiaincolla di previsioni di quel trattato, semplicemente riproposti nella cornice di Artemis. Poi ce ne sono anche di altri, come quello in tema di Space resources, che propongono l’interpretazione americana di aspetti ancora relativamente ambigui del trattato stesso.
Non sono però principi che vanno al di sopra o al di fuori del diritto internazionale. Questo è importante da chiarire. Gli USA e anche i paesi partner, hanno firmato un accordo internazionale, da cui non hanno alcuna intenzione di tirarsi fuori; semmai il contrario. Quello che è scritto nell’Outer Space Treaty, rimane politicamente fondamentale nonché vincolante dal punto di vista legale. Non può essere superato né tantomeno essere messo da parte dagli Artemis Accord.
Ma non è neanche quella l’intenzione, perchè sarebbe una follia per gli USA andare contro il più importante trattato che c’è in ambito spaziale per eseguire un programma che invece ha bisogno della legittimazione che gli da il diritto internazionale. Andare sulla Luna senza le cautele date dal rispetto del Outer Space Treaty sarebbe una follia politica.
Seguendo questo ragionamento, ci scontriamo però con l’atto esecutivo firmato dal Presidente Trump che dichiara che gli Stati Uniti non riconoscono lo spazio extra-atmosferico come bene comune dell’umanità.
“Outer space is a legally and physically unique domain of human activity, and the United States does not view it as a global commons”. Come si inserisce questo atto negli Accordi Artemis?
E’ un’ottima domanda, e io ti posso rispondere non solo con quella che è la mia interpretazione ma anche riportandoti alcune dichiarazioni fatte dalla NASA. C’è stata una conferenza molto interessante organizzata dai russi qualche mese fa. E’ la prima volta che i russi organizzano una cosa del genere, perchè probabilmente hanno sentito il bisogno di dover chiarire il loro punto di vista sulla questione. In questa conferenza hanno invitato tutti. C’erano i cinesi, gli Europei, gli americani.
I russi hanno direttamente chiesto a Mike Gold, che era lì in rappresentanza degli USA: come la mettiamo con l’executive order? “Voi avete detto che lo spazio non è più un bene comune, che non lo considerate come tale e questa cosa è molto preoccupante.” Ora, l’espressione “Global commons“ contenuta nell’atto di Trump, si presta ad essere interpretata in vari modi, dato che non esiste una sola definizione di global commons. C’è un concetto legale-giuridico e un concetto economico. L’executive order non specifica a quale di questi fare riferimento.
Mike Gold ha infatti risposto alla domanda russa dicendo che ci sono molte definizioni di global commons, e che l’executive order non si pone in alcun caso in contrasto con gli obblighi internazionali degli Stati Uniti sotto il trattato Outer Space Treaty. E qui vengo alla mia interpretazione dell’executive order.
Sicuramente è stato il passaggio più infelice della politica estera dell’amministrazione Trump in ambito spazio. Io ritengo che chi lo abbia scritto non abbia pensato molto a quello che stava facendo. Se so legge l’intero documento, si nota che è stato emanato per incentivare, tranquillizzare, mandare un segnale, alle compagnie private, le quali hanno questa ossessione che il Moon Agreament gli rovinerà al vita, non gli permetterà di fare esplorazione spaziale come vogliono ecc ecc.
Quindi l’accordo dice: sì, si possono fare soldi con lo spazio. Sì, si possono estrarre risorse dallo spazio. No, non c’è bisogno di dividere i profitti. Fondamentalmente è a questo che serve l’executive orders, serve a ribadire un concetto, che in realtà non è mai stato messo in discussione. C’è questa ossessione in America, per chiarificare che space resources si possono fare senza dividere i profitti. Nel fare queste dichiarazioni, l’executive orders secondo me si riferisce ad una nozione economica del global commons. La definizione economica di global commons, è quella di un bene, il quale, economicamente parlando, richiede necessariamente la partecipazione di tutti i proprietari, che in questo caso sarebbero la comunità globale, ai benefici di quel global commons. Quindi, secondo la definizione economica, quando qualcosa è definito come global commons tu non ne puoi approfittarne individualmente, perchè è una cosa i cui profitti vanno divisi fra tutti. Questo economicamente.
Giuridicamente il concetto è un’altra cosa, rappresenta quelle aree al di fuori della sovranità nazionale, tra cui c’è sicuramente lo spazio. Non c’è neanche discussione su questa cosa. Perchè sullo spazio non c’è sovranità, come non ce n’è nemmeno nel mare aperto, nel fondale oceanico e come non c’è nel cyberspace. Che lo spazio sia un global commons nel senso giuridico del termine non è in discussione, neanche dagli Stati Uniti. Io credo che chi abbia scritto l’executive order forse non abbia molta familiarità con il diritto internazionale, tantomeno con il diritto spaziale internazionale e quindi si sia fatto prendere un po’ la mano dall’obiettivo, che era appunto quello di dare un messaggio di speranza alle compagnie, e ha sottovalutato le possibili conseguenze, in ambito internazionale, di quello che stava facendo.
Ovviamente secondo me è un errore gravissimo, una Nazione come gli USA dovrebbe stare più attenta a simili leggerezze. La cosa più importante però è che un executive order, nell’ambito della gerarchia delle fonti americane, è sottoposto alla legislazione nazionale e al diritto internazionale, quindi non sarebbe valido se fosse emanato in contraddizione con le leggi degli Stati Uniti e i loro obblighi internazionali. Nel dubbio quindi noi lo dobbiamo interpretare nell’unico modo compatibile con queste leggi e questi obblighi. Pertanto, secondo me l’interpretazione che dev’essere data è quella di riferirsi alla nozione economica di global commons, e non di voler contestare un principio che gli stessi Stati Uniti hanno contribuito a creare, perchè di fatto sono stati loro e l’Unione Sovietica a creare il diritto spaziale da zero, e che peraltro è di vitale importanza per i loro stessi interessi strategici nello spazio.