Di recente abbiamo esplorato l’impatto della permanenza nello spazio sul corpo e mente degli astronauti. Tuttavia riconoscere il problema e quantificarlo è solo il primo passo di un obiettivo più ambizioso: sopravvivere allo spazio, contenendone gli effetti avversi e fornendo soluzioni e approcci utili per prolungare a piacimento i viaggi spaziali. Per superare le difficolta mediche e psicologiche un aiuto concreto arriverà da molteplici soluzioni di digital health.
Il fine ultimo è trovare il modo di adattarci allo Spazio, trovando nuovi equilibri per ambire a diventare una specie multiplanetaria (come direbbe Elon Musk). Avere le basi per evolvere da “pesci fuor d’acqua ad anfibi”.
Identificare, quantificare, prevenire
Affrontare l’esplorazione spaziale inizia sulla Terra, molto prima della partenza.
Si parte dall’identificazione e caratterizzazione dei rischi, essenziale per poterli quantificare. Si determinano poi i range standard entro cui gli astronauti sono esposti a intensità accettabili dei fattori di rischio, comprovati da test analogici oltre che dallo storico dei dati delle missioni spaziali. Infine, vengono elaborate opportune contromisure per mantenere il personale entro i range di accettabilità precedentemente validati.
L’obiettivo è minimizzare tempi ed intensità di esposizione ai fattori di rischio, evitando a monte che questi possano impattare abbastanza a lungo da trasformarsi in un problema concreto, se non addirittura irreversibile.
La componente umana diventa fondamentale tanto quanto le soluzioni tecniche di contorno. Se fornire contromisure efficaci è importante, lo è altrettanto quello di spedire nello spazio personale dotato di naturale resilienza, fisiologica e mentale, nei confronti dell’ambiente extraterrestre.
La resilienza come parametro di selezione
Fin dalla selezione degli astronauti, oltre alle performance fisiche, opportuni test cognitivi permettono di evidenziare tratti psicologici, emotivi e sociali degli individui. A questi si aggiungono anche test genetici e di anamnesi mediche al fine di considerare eventuali predisposizioni genetiche a sviluppare pattern comportamentali e psicologici critici. La selezione non si arresta mai del tutto, ma continua attraverso una lunga e impegnativa fase di training terrestre nei contesti analogici.
L’allenamento analogico ha luogo presso centri di training che riproducono gli ambienti spaziali, talvolta localizzati in siti geografici scelti per estremizzare condizioni climatiche avverse e isolamento. In tali strutture si familiarizza, oltre che con le operazioni da replicare in orbita, anche con sintomi e criticità della propria risposta mentale. Inoltre, guidati da specialisti, gli astronauti apprendono strategie comportamentali per affrontare le proprie reazioni minimizzando le conseguenze potenzialmente imprevedibili.
Esempi di tali centri sono l’HERA (Human Exploration Research Analog), la stazione antartica di Neumayer e l’ICARUS (Isolation & Confinement Analog Research Unit for Spaceflight). Questi differiscono per tipologia di spazi, tempi di permanenza (ad esempio, 14 mesi nella stazione Neumayer) e numero di persone coinvolte (da un minimo di 4 ad un massimo di 9). Ambienti, protocolli e parametri valutati derivano anche da iniziali studi condotti su modelli animali. In particolare condotti su roditori, sottoposti a prolungate esperienze di isolamento, confinamento e stress.
Al fine di rispettare i criteri ottimali tanto fisici quanto psicologici, è evidente che serva un approccio sistemico. Routine operative, sistemi di controllo, schermi e interfacce, abitabilità e design degli ambienti risultano aspetti interconnessi e ugualmente impattanti sul comfort e le performance del personale a bordo. Visto il progressivo allungamento delle missioni spaziali, i ricercatori evidenziano un probabile aumento dei rischi dipendenti dall’ergonomia degli ambienti operativi, capaci di impattare sia la qualità di vita della singola persona che l’efficienza delle attività e la frequenza degli errori operativi.
A tal proposito vengono ampiamente utilizzati studi di modellazione e simulazione, che partendo da dati architettonici e interazioni uomo-macchina, puntano a ottimizzare il design delle strutture spaziali per un’esperienza quanto più human-centered possibile. Spoiler: approfondiremo presto questo aspetto attraverso un’intervista con un’ospite d’eccezione!
Telemedicina e Digital Health a supporto degli astronauti
Lontano dalla Terra, senza la possibilità per un rapido rientro di emergenza e senza comunicazioni in tempo reale, come potranno gli astronauti ricevere l’aiuto necessario per far fronte alle sfide comportamentali del viaggio spaziale?
Le tecnologie digitali (l’abbiamo vissuto anche in pieno lockdown da COVID-19) offrono oggi un ricco ventaglio di possibilità per preservare la continuità del supporto medico-sanitario, nonostante la distanza fisica e temporale. La telemedicina, e più in generale le diverse sfumature della digital health, avvicinano l’utente/paziente a servizi e strumenti di salute, accompagnandolo dovunque questi si trovi e permettendo un elevato grado di personalizzazione. Vale sulla Terra, e vale ancor di più nello Spazio.
Robot potranno essere impiegati, oltre che per ottimizzare il lavoro degli astronauti, anche come companion, fornendo assistenza attraverso la dimensione più naturale dell’interazione verbale. Questo perchè dotati allo stesso tempo di videocamere utili a valutare comportamenti, stato emotivo e condizioni di salute. Questo processo è già iniziato con robot come gli Astrobee , lanciati nel 2018 e dalla semplice forma di cubi, fino al CIMON 2 lanciato da SpaceX nel 2019. Progettato da IBM ed Airbus per mostrare “emozioni” attraverso il suo avatar su schermo ma soprattutto per misurare quelle degli operatori umani.
Soluzioni digitali
Le stazioni spaziali verranno progressivamente arricchite con sistemi capaci di integrare dati biometrici misurati dai dispositivi wearable con le informazioni raccolte dalle videocamere ed elaborate da IA, utili per il tracking dei singoli utenti ma anche per la valutazione del grado di coesione sociale entro la crew. Informazioni essenziali non solo per delineare la condizione di salute e benessere sul momento, ma anche per elaborare modelli predittivi e prevenire la cronicizzazione di condizioni potenzialmente pericolose.
Un esempio è ASTRO-3DO, attualmente in fase di sviluppo dal Dr. John Shepherd della University of Hawaii Honolulu Cancer Center in collaborazione con il network TRISH. Il progetto è basato su videocamere 3D che scansionano il corpo degli astronauti per misurare la composizione corporea.
Il sistema è già impiegato nel monitoraggio dei pazienti ospedalizzati che a causa della scarsa attività motoria vanno incontro a deterioramento di muscoli e ossa, analogamente agli astronauti in microgravità. Monitorare tali parametri, soprattutto in prospettiva dei 3 anni di viaggio di andata e ritorno verso Marte, sarà fondamentale per guidare gli astronauti verso routine capaci di limitare l’impatto sulla loro salute.
Sembra inoltre, che nelle future crew non sia prevista la presenza di psicologi. Sarà quindi necessario affiancare al supporto da Terra anche soluzioni capaci di funzionare in modalità autonoma e remota, adattandosi dinamicamente alle condizioni degli astronauti.
Quali potrebbero essere queste soluzioni? Ad esempio la realtà virtuale (VR), in grado di immergere l’utente in spazi digitali progettabili per applicazioni che spaziano dall’entertainment al training, fino al supporto mentale. Il tutto grazie a interfacce hardware dette visori VR, che indossati sul capo offrono l’illusione puramente sensoriale di essere presenti in uno scenario virtuale realistico e interattivo.
Grazie alla VR, gli astronauti potranno portarsi dietro interi mondi digitali, opportunamente progettati per esporli a spazi e interazioni utili a contrastare stati di ansia e stress cronico. Il tutto nell’ottica di una terapia cognitivo comportamentale digitale.
In risposta alla monotonia degli ambienti della stazione spaziale, la VR permetterebbe di accedere a esperienze on demand sensorialmente ricche e capaci di stimolare il cervello degli astronauti, una vera e propria palestra per la mente. Gli scenari virtuali potrebbero essere progettati anche per informare sulle condizioni psicomotorie della crew o per stimolare l’interazione sociale. Una terapia di gruppo digitale per affrontare tensioni personali, superare bias culturali, promuovere la comunicazione e la coesione interpersonale.
Tecnologia altrettanto intrigante è quella della stimolazione transcraniale, una procedura non invasiva che consiste nella modulazione dell’attività del cervello grazie a stimoli elettromagnetici. Questo trattamento ha risultati positivi nel trattamento di disturbi depressivi, ansia e persino recupero delle capacità psicomotorie in pazienti post-stroke. Attualmente in fase di sviluppo, il progetto del Dr. Seung-Schik Yoo del Brigham and Woman’s Hospital punta a realizzare un dispositivo wearable capace di fornire i vantaggi della stimolazione cerebrale (per mezzo di ultrasioni) agli astronauti soprattutto nell’ottica dei viaggi di lunga durata.
La dimensione di digital health è ormai gemella a quella fisica. Ci accompagna dovunque sulla Terra e farà lo stesso mentre esploriamo nuovi mondi, aiutandoci a delocalizzare in poco spazio e migliore efficienza numerosi servizi, tra cui quello essenziale: il supporto della salute.