Fra i detriti orbitali rientra qualsiasi oggetto spaziale di dimensioni ridotte, di origine naturale oppure artificiale. In particolare la dicitura ‘space debris’ indica direttamente quegli oggetti artificiali che non sono più utili ai fini di una missione e che non è più possibile controllare da terra, ma che restano in orbita attorno alla Terra per un certo lasso di tempo.
Il problema principale creato dal detrito spaziale risiede nel fatto che esso potrebbe incrociare l’orbita di altri satelliti. La pericolosità di quest’evento non risiede tanto nella probabilità che le due orbite si sovrappongano, quanto nella possibilità che le due traiettorie si incrocino in un solo punto e che il rifiuto possa quindi collidere con l’altro oggetto. Talvolta, la velocità del detrito può essere così alta da poter danneggiare, ed in certi casi anche distruggere intere strutture. Questo impatto indesiderato, rischia inoltre di creare nuovi detriti, provocando collisioni a cascata. Per tale motivo si è ritenuto fondamentale mappare la presenza di questi rifiuti e stimarne la quantità e la concentrazione.
Come si crea un rifiuto spaziale?
Gran parte dei rifiuti spaziali si trovano concentrati in LEO (Low Earth Orbit), una regione che si estende dai 300 fino ai 1000 chilometri di quota. La maggioranza di questi oggetti consiste in ultimi stadi di razzi, oggetti persi durante le attività extraveicolari, pezzi di satelliti distrutti, satelliti non più attivi e persino schegge di vernice proveniente dalle pareti esterne dei razzi.
In passato si sono verificati alcuni incidenti che hanno dato origine a quasi un terzo dell’attuale popolazione di detriti in LEO. Nel 1996, un satellite francese fu colpito e danneggiato dai detriti creati da un missile esploso ad alta quota un decennio prima. Il 10 febbraio del 2009, un satellite russo dismesso, il Cosmos-2251, colpì il satellite Iridium-33, causando la creazione di più di duemila frammenti. Nel 2007, un test missilistico antisatellite condotto dalla Cina, distrusse il satellite meteorologico Fengyun-1C, e aggiunse oltre tremila frammenti alla lunga lista.
Una soluzione che si usa spesso è quella di spostare il satellite in un’orbita geosincrona, che risiede oltre i 35.000 chilometri di altitudine. Questo viene solitamente fatto alla fine della vita operativa di un satellite, sopratutto per quelli in orbite particolarmente alte. Durante questo spostamento, il satellite viene passivato, ovvero privato di ogni energia interna, allo scopo di scongiurare esplosioni o riattivazioni incontrollate. Ad essere passivati sono i serbatoi di propellente e le batterie. Una volta terminate la manovra di spostamento e la passivazione, il satellite, ormai privo di ogni fonte di energia, continuerà ad orbitare la Terra nella sua orbita ‘cimitero’, anche per centinaia di anni.
Limitare lo Space Debris. Come?
Attualmente non esiste alcuna legge che preveda il recupero delle parti andate perdute, ma è attivo dal 1979 l’Orbital Debris Program Office (ODPO), che implementa misure atte a limitare la formazione e la propagazione di detriti spaziali. L’ODPO è in grado di monitorare l’ambiente detritico contando su un modello predittivo di propagazione dei detriti, noto come LEGEND. L’estrema utilità di LEGEND consiste nel ricostruire in tempo reale le traiettorie degli oggetti orbitanti, in funzione della loro altitudine, latitudine, e longitudine. La famiglia di oggetti listati da LEGEND include veicoli spaziali attivi e dismessi, componenti di vettori, e altri frammenti variabili in dimensioni. Il modello integra anche uno storico delle missioni dal 1957 per determinare l’orbita dei corpi non ancora rientrati.
Le direttive federali statunitensi sullo Space Debris sono condensate all’interno dell’Orbital Debris Mitigation Standard Practices (ODMSP). I princìpi cardine di tale direttiva sono:
- minimizzare le cause di esplosioni accidentali,
- limitare le possibilità di collisioni,
- configurare lo smaltimento delle strutture aerospaziali nel periodo post missione.
Nel voler garantire la sicurezza in ambiente extra-atmosferico, l’ufficio federale ritiene altresì importante responsabilizzarsi nei confronti della gestione dei rifiuti, in vista di un inevitabile aumento dei lanci e del traffico in orbita. Inoltre, è operativo lo IADC (Inter-Agency Space Debris Coordination Committee), un comitato inter-agenzie deputato alla cooperazione internazionale per favorire il controllo dei detriti spaziali.
L’agenzia spaziale russa intende ampliare la sua rete per l’osservazione e il tracciamento dei detriti spaziali con un programma denominato Via Lattea. Questa rete comprenderà 65 telescopi di terra, pronti entro il 2025 e strumentazione a bordo di altri satelliti utilizzati per altri scopi, in particolare quelli per l’osservazione della Terra. Inoltre si prevede l’installazione di un nuovo sensore ottico all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale e un nuovo satellite interamente dedicato al controllo di detriti da fare direttamente dall’orbita terrestre bassa.
Come sgomberare l’orbita dai detriti spaziali?
Evitare di creare eccessive quantità di rifiuti spaziali, è al momento l’unica soluzione al problema. Questo risultato può essere raggiunto tramite opportuni design che espongano la struttura aerospaziale a minori disfacimenti. Inoltre tutti i satelliti di nuova generazione hanno durata ben precisa e devono rientrare in atmosfera al termine del loro utilizzo.
Purtroppo, un vero e proprio recupero dei detriti è una soluzione altamente dispendiosa e difficile da realizzare. Ciò nonostante, sono stati elaborati diversi progetti di smaltimento dei rifiuti che, in un futuro prossimo, potrebbero diventare economicamente accessibili, oltre che necessari.
Cattura di satelliti
La missione ClearSpace-1, prevista per il 2025, prevede di immettere in orbita dei satelliti provvisti di braccia robotiche in grado di catturare i rifiuti e di deorbitarli. In basso troverete un breve filmato del processo di deorbiting immaginato dal gruppo di ClearSpace, guidato da Luc Piguet.
Deviazione di satelliti
Un’altra interessante teoria, proposta da Stefan Scharring, Jascha Wilken e Hans-Albert Eckel del Centro Aerospaziale Tedesco (DLR), sfrutta fasci di laser ad alta intensità. L’idea è quella di colpire i detriti con un laser in in modo da trasferire loro momento meccanico. Questo è sufficiente a deviare il detrito dalla sua traiettoria. In questo modo il detrito può rientrare in atmosfera e distruggersi con l’attrito con essa. Lo studio è interamente disponibile in open access cliccando qui.
Altre soluzioni, molto più ardite ma difficili da realizzare, hanno immaginato l’uso di reti o arpioni per recuperare i satelliti spazzatura. Queste idee sono più complesse e saranno in futuro utilizzate principalmente per detriti di grandi dimensioni.
Come se già nello spazio non ce ne fossero abbastanza, quello della spazzatura è un rischio da non prendere sottogamba. Spesso è inevitabile produrre dei detriti, ciò nonostante è nell’interesse di tutte le agenzie spaziali operare in un ambiente il più scevro possibile dall’impatto dell’uomo. In un futuro non troppo remoto, ci auguriamo che sia possibile non solo sgombrare le orbite da rifiuti, ma anche riciclare i rifiuti stessi all’interno di strutture spaziali adibite al loro recupero.