E’ il 2020 e nella decade che ci aspetta siamo in procinto di spiccare il volo per tornare sulla Luna e andare oltre, verso Marte, spingendoci a distanze mai raggiunte da nessun essere umano nella storia. Gli astronauti affronteranno condizioni in cui un rientro d’emergenza immediato non sarà possibile. Ogni situazione andrà gestita per un tempo prolungato e serviranno strumenti, materiali e strategie in grado, nel frattempo, di rendere gli esploratori indipendenti dal nostro pianeta Terra.
Tra gli aspetti che verranno messi a dura prova da una permanenza prolungata nello spazio vi è senza dubbio la nostra stessa natura di organismi biologici, impattando sulla nostra salute, stabilità emotiva e mentale, alimentazione. Se da un lato la biologia, aliena al contesto spaziale, presenta dei limiti, proprio questa unitamente alla tecnologia può dischiudere potenzialità uniche per facilitare l’esplorazione spaziale. Per questo motivo la NASA è attivamente impegnata nella conduzione di numerosi programmi di ricerca nell’ambito della biotecnologia, dove la tecnologia impiega organismi viventi o loro parti per realizzare prodotti e soluzioni innovative.
La sfida più grande: mente e corpo degli astronauti
Gravità zero, esposizione prolungata a raggi UV e radiazioni ionizzanti, monotonia sensoriale, isolamento: non ci sono dubbi che prolungando la permanenza nello spazio, corpo e mente degli astronauti verranno messi a durissima prova impattando pesantemente sulla loro salute. Salvaguardare quest’ultima avrà la massima priorità e, a fianco di telemedicina e salute digitale, le biotecnologie avranno un ruolo chiave. Numerosi sono attualmente i progetti di ricerca in corso per comprendere come reagisce il corpo umano alla vita nello spazio come la Vascular Tissue Challenge, finalizzata a creare modelli biologici che fungano da analoghi degli organi umani per valutare l’effetto sul sistema vascolare delle radiazioni spaziali. Inoltre, quando verrà superata la sottile linea di protezione di organi e tessuti, non sempre basterà curarli ma si renderà necessario ricostruirli, letteralmente. In tale scenario si collocano ambiti di frontiera delle biotecnologie quali la medicina rigenerativa e la biostampa con grandi ricadute sulla medicina terrestre, in primis la crescente richiesta di trapianti d’organo e l’invecchiamento demografico generale. A proposito, sapete nella ISS si stanno già biostampando i primi tessuti viventi? Avremo modo di approfondire nei prossimi articoli.
Nutrienti on demand da fabbriche biologiche
Salute significa anche alimentazione, un settore in cui le biotecnologie, come la biologia sintetica, metodi innovativi di coltura e fermentazione permetteranno di coltivare, produrre e mantenere in loco alimenti per fornire nutrienti essenziali alla crew. Saranno rilasciati in quantità ben definite e on-demand grazie a colture microbiche opportunamente modificate o modificando geneticamente colture vegetali. Dalle insalate coltivate sull’ISS fino al primo germoglio spuntato tra le “braccia” metalliche del rover cinese Chang’e 4 sul suolo lunare, la priorità è comprendere il perimetro di condizioni fisico-chimiche ottimali per coltivare vegetali oltre la Terra, trasformando le piante nelle future biofabbriche di alimenti e farmaci.
Edilizia spaziale attraverso le biotecnologie
“We’re going back to the Moon, to stay” può ormai considerarsi il sottotitolo della missione Artemis che riporterà l’uomo sulla Luna, non solo per una toccata e fuga, ma per stabilire una base utile a iniziarne la colonizzazione. In questo scenario entra chiaramente in gioco la necessità di progettare ambienti abitativi stabili nell’atmosfera extraterrestre, capaci di proteggere chi vi abita e flessibili abbastanza da poter essere migliorate nel tempo. Stabilità, protezione e adattabilità: 3 caratteristiche che hanno un’evidente analogia con i sistemi viventi organici. In quest’ottica, l’Ames Research Center è attualmente al lavoro sul progetto di mico-architettura dove viene esplorata la possibilità di impiegare il micelio dei funghi per costruire intere strutture abitative. I funghi sono tra gli organismi più adattabili del pianeta Terra, opportunamente manipolati attraverso le biotecnologie, possono essere convertiti in una grande varietà di materiali fino anche a veri e propri blocchi simili a mattoni per l’edilizia. Se confermata questa opportunità, si prevede di poter installare strutture basilari su suoli lunari o marziani, in grado di crescere ed espandersi semplicemente aggiungendo acqua e nutrienti, oltre a potersi allo stesso modo riparare nel tempo.
Chiudere il cerchio: la sostenibilità nello spazio
Chi ha letto Dune, il capolavoro sci-fi di Frank Herbert, ricorderà le tute distillanti indossate dagli abitanti del pianeta desertico in grado di raccogliere persino il sudore per minimizzare la perdita d’acqua e reimmetterla nel corpo. Un vero e proprio gioiello dell’efficienza in un ambiente profondamente ostile. Non siamo ancora su Arrakis, ma per l’esplorazione spaziale il riciclo ha da sempre raggiunto livelli necessariamente estremi, in un contesto dove ogni rifiuto deve essere convertito in risorsa. Mentre acqua e aria vengono attualmente consumate e riciclate attraverso sistemi non biologici (a parte l’acqua che può essere purificata anche mediante metabolismo microbico), ogni altro rifiuto (biologico e non) va reintrodotto nel ciclo vitale di una stazione spaziale o colonia extraterrestre. Ed è qui che la biologia può rappresentare una vera e propria fabbrica naturale di riciclo sostenibile. Microorganismi come lieviti e alghe potranno essere impiegati per metabolizzare i rifiuti, producendo parallelamente composti secondari utili alla sintesi di materiali (plastiche biodegradabili), farmaci, nutrienti. Un circolo di sostenibilità con elevatissime ricadute sull’economia del pianeta Terra.