Durante il congresso mondiale di astronautica del 2016, tutti attendevano con ansia un particolare evento plenario: un discorso di Elon Musk davanti a una platea di circa 3000 delegati. Musk aveva annunciato il suo tema preferito: come far diventare l’Umanità una specie interplanetaria.
Tutta la presentazione fu incentrata sul suo nuovo progetto di super-lanciatore, che allora si chiamava BFR (che starebbe per Big Falcon Rocket, anche se molti addetti ai lavori davano una interpretazione diversa della F). Se ricordo bene il suo messaggio più altisonante fu: con questo razzo invieremo 100 persone su Marte entro il 2025. O giù di lì.
Non rimasi molto impressionato né dal discorso né dalle qualità oratorie di Musk, che mi sembrò impacciato e a tratti anche un po’ confuso. La presentazione mi sembrò più che altro un messaggio pubblicitario diretto verso la NASA, una specie di invito a finanziare i suoi piani per un lanciatore più potente.

A quei tempi il Falcon 9 di SpaceX non era ancora il dominatore assoluto del mercato dei lanci, ma stava già inanellando successi sempre più importanti. Musk godeva dunque già di una certa credibilità anche nell’ambiente dello spazio tradizionale rappresentato al congresso. Ma nessuno nell’uditorio, ovviamente, prese sul serio i suoi obiettivi, ritenuti fantasiosi e in particolare irrealizzabili nei tempi annunciati.
Oggi, nel 2025, SpaceX con il grande successo del suo Falcon 9 si è presa la gran parte del mercato dei lanci, che realizza con una regolarità impressionante e con una frequenza impensabile fino a qualche anno fa, una media di tre-quattro alla settimana. E anche lo sviluppo del BFR, che nel frattempo è stato ribattezzato Starship, è proseguito a grandi passi. Starship è diventato un progetto di lanciatore gigante a due stadi, entrambi recuperabili e riutilizzabili in tempi brevissimi.
Il passaggio da Falcon 9 a Starship
Undici lanci di prova suborbitali sono stati eseguiti fino a oggi con Starship. Dopo un paio di lanci, i problemi mostrati dal primo stadio sono stati risolti e abbiamo assistito ben tre volte alla dimostrazione impressionante del suo rientro e cattura sulla rampa di lancio; il secondo stadio ha però incontrato problemi significativi: mentre nei primi lanci in cui era sopravvissuto alla partenza era rientrato come previsto, anche se molto danneggiato, nell’oceano, nei tre lanci successivi è addirittura esploso in volo. Gli ingegneri di SpaceX hanno comunque fatto tesoro dei dati di questi fallimenti, e gli ultimi due lanci della versione Block 2 di Starship sono stati completati con successo.
È evidente che il passo tra realizzare il rientro del primo stadio, che raggiunge altezze e velocità relativamente basse, e farlo invece con il secondo stadio, che anche per voli suborbitali deve attraversare l’atmosfera a velocità elevatissime, richiede un balzo tecnologico enorme. Nonostante il numero di tentativi, i pesanti investimenti e l’approccio innovativo adottato da SpaceX, i problemi tecnologici da affrontare non sono ancora del tutto risolti. Ma SpaceX ci ha abituato a progressi e soprattutto recuperi rapidi dalle difficoltà. La nuova versione Block 3 di Starship, che dovrebbe volare all’inizio del 2026, ci dirà se la strada intrapresa sia quella giusta.

Supponiamo allora che un giorno SpaceX riesca a far entrare in orbita Starship e soprattutto a farla rientrare senza danni significativi, in modo da raggiungere l’obiettivo primario, cioè la riutilizzabilità veloce e a basso costo. Cosa ci dobbiamo aspettare da questo nuovo, potentissimo razzo?
L’Umanità su Marte?
Musk ce lo ha presentato come il razzo che (presto, già nei prossimi anni) porterà l’Umanità su Marte. E lo ha anche venduto alla NASA come quello che riporterà astronauti americani a camminare sulla Luna nel 2027. Lasciamo perdere le tempistiche annunciate, che sono sempre state molto fantasiose, come le difficoltà degli ultimi dodici mesi sembrano confermare. Ma sono davvero questi gli obiettivi di Starship? E soprattutto: siamo sicuri che questo razzo sia la soluzione giusta per Marte e la Luna?
Proviamo a partire con i piedi per terra, che è sempre una buona idea anche quando si parla di spazio. Musk ha fatto la fortuna di SpaceX con il Falcon 9, ma allo stesso tempo ha prodotto il successo di mercato del Falcon 9 grazie alla creazione di Starlink, la sua mega-costellazione di satelliti per telecomunicazioni in orbita bassa. Starlink ha infatti generato la massa critica dei lanci che SpaceX necessitava per ridurre i costi del Falcon 9, e che prima semplicemente non esisteva
Nel frattempo Starlink è diventata un successo a sé stante, ha sempre più utenti paganti, ha risvegliato l’interesse dei militari, che sono ottimi clienti e hanno fondi illimitati da investire, e ha anche stimolato la nascita di competitori, altre costellazioni di satelliti in orbita bassa con centinaia o migliaia di satelliti.
Queste costellazioni hanno una caratteristica importante: per continuare a funzionare richiedono che i satelliti che le compongono vengano rimpiazzati continuamente e rapidamente. Se prendiamo ad esempio Starlink, una costellazione intorno ai 12000 satelliti, ciascuno con una vita media che supponiamo intorno ai 5 anni, questo vuol dire che per mantenerla attiva vanno rimpiazzati in media 2400 satelliti ogni anno. Per fare questo e mantenere bassi i costi del servizio, anche un lanciatore a basso costo come il Falcon 9, che ultimamente riesce a lanciare una ventina di satelliti Starlink, non è ideale: SpaceX dovrebbe fare 120 lanci di Falcon 9 all’anno solo per mantenere la costellazione.
A Musk serve allora un lanciatore che possa portare in orbita molti più satelliti alla volta. Le stime iniziali per Starship erano di 400 satelliti Starlink per lancio. Oggi, con la crescita di complessità e di massa dei satelliti Starlink, leggo che si aggirano più sulla cinquantina, che mi sembra a dire la verità un po’ deludente. Ma prendiamo una cifra più ottimistica ma sempre ragionevole: 100 satelliti per lancio.
The larger V3 @Starlink satellites that will deploy from Starship will bring gigabit connectivity to users and are designed to add 60 Tera-bits-per-second of downlink capacity to the Starlink network.
That’s more than 20 times the capacity added with every V2 Mini launch on… pic.twitter.com/N0Vl9psbm3
— SpaceX (@SpaceX) October 13, 2025
Con una tale capacità si ridurrebbe il numero dei lanci necessari di un fattore cinque rispetto all’uso di Falcon 9. Certo, va anche considerata la differenza di costo tra un lancio di Falcon 9 e uno di Starship, cosa che non credo nessuno sia oggi in grado di stimare. Ma possiamo supporre che comunque il costo per chilo diminuirà significativamente con Starship, per cui alla fine si realizzerà un certo risparmio. E certamente la riduzione del numero dei lanci resta comunque un elemento positivo, visti i problemi che ogni lancio causa al traffico aereo e all’ambiente (senza contare i detriti che ricadono sulla traiettoria del lanciatore e che cominciano ad allarmare un po’ tutti).
Insomma, l’obiettivo principale di Starship resta quello di portare satelliti in orbita terrestre bassa a un costo ridotto e con un numero di lanci ridotto. Per questo rimane fondamentale per SpaceX padroneggiare il rientro senza danni del secondo stadio, al momento la sfida tecnologica più difficile.

SpaceX giustamente sta affrontando questa sfida in modo incrementale, cercando prima di tutto di risolvere i problemi per voli suborbitali. Il rientro da un volo suborbitale richiede una dissipazione di energia dinamica totale inferiore a quella di un volo orbitale. Questo significa riduzione di attrito, e con esso di tutti i problemi legati ai materiali di protezione dall’enorme calore generato sul secondo stadio durante la discesa. Tra l’altro, la risoluzione dei problemi di rientro da un volo suborbitale aprirebbe già da sé un nuovo mercato per Starship: quello del trasporto rapido di materiale e forse un giorno di persone da un punto all’altro della Terra. Una funzionalità molto interessante soprattutto per scopi bellici. E infatti, l’interesse dei militari per questo tipo di servizio è in rapida crescita.
Una volta superati i problemi per voli suborbitali, SpaceX potrà anche dedicarsi a estrapolare le soluzioni per energie più elevate, quelle orbitali. E intanto l’apertura del mercato dei voli suborbitali con l’aggiunta di quello dei voli orbitali ripagherebbe SpaceX degli sforzi e degli investimenti fatti su Starship.
Ma allora, la Luna?
Ma allora, la Luna? A dire la verità qui ho sempre avuto qualche dubbio sull’utilizzo di Starship. O perlomeno sul fatto che Starship sia davvero la soluzione ideale. Non conosco i dettagli del modulo di allunaggio, basato su Starship, che SpaceX si è impegnata a costruire per la NASA, e che dovrebbe essere pronto per la prima missione americana di allunaggio umano, Artemis 3. Ma da quello che leggo, l’architettura della missione prevede che il modulo lunare sia semplicemente una versione modificata del secondo stadio di Starship. Questo verrebbe portato in orbita terrestre, e lì attenderebbe il lancio di altre Starship che vadano a rifornirlo di propellente in orbita.
Ho letto che per rifornire la Starship lunare servirebbe un numero di lanci “in the high teens“, che io interpreto come “tra quindici e diciannove”. Un numero sorprendentemente alto, almeno per me. Poi la Starship lunare, finalmente carica di propellente, partirebbe per l’orbita lunare, dove incontrerebbe la capsula Orion, lanciata nel frattempo da un lanciatore tradizionale SLS. A quel punto gli astronauti si trasferirebbero da Orion al modulo lunare, che li porterebbe sulla superficie per poi a fine missione ripartire dalla superficie e raggiungere Orion, che attende in orbita lunare per riportare gli astronauti sulla Terra.

Solo a descrivere questo scenario mi vengono in mente un gran numero di domande e di questioni tecniche, alle quali per la mia ignoranza nel campo della tecnologia dei lanciatori non sono certo in grado di dare risposta. Ma anche il più grande ammiratore di Starship dovrà ammettere che una tale architettura appare eccessivamente complicata. Rispetto alle missioni Apollo che negli anni Settanta del secolo scorso facevano tutto con un solo lanciatore Saturn V, ma anche rispetto all’annunciata missione cinese, che prevede di fare la stessa cosa con due razzi tradizionali, uno per la capsula e uno per il modulo lunare. Anche se guardiamo la struttura di Starship (qui intendo il secondo stadio del razzo), non mi sembra davvero ottimizzata per realizzare un modulo di atterraggio, con la sua forma oblunga che dà un’impressione di precaria stabilità e che necessita di meccanismi supplementari per calare il carico sulla superficie.

D’altra parte, se la NASA ha approvato la soluzione proposta da SpaceX per il primo allunaggio, immagino che il progetto sia stato in qualche modo convincente. Vedremo. Ad ogni modo, per raggiungere questo obiettivo SpaceX dovrà sviluppare e dimostrare molte altre funzionalità, dal rifornimento in orbita all’allunaggio e alla ripartenza, e raggiungere naturalmente un alto livello di sicurezza in tutte le funzioni per quando dovrà affidare la vita di esseri umani al sistema Starship. Una strada lunga, che richiederà ancora molto tempo.
Infine, Marte. Su questo ho già espresso la mia opinione e non penso serva andare troppo in dettaglio. A mio parere un viaggio di esseri umani per Marte rimane ancora un obiettivo lontano. E non solo per Starship. Al momento quella di Musk rispetto a Marte è solo propaganda, come lo era ai tempi della sua presentazione nel 2016. E lo rimarrà ancora per molti, molti anni.
Dunque, Starship è solo uno strumento utile ad arricchire ulteriormente Musk e gli azionisti della sua SpaceX? Oppure, peggio, sta per diventare una nuova, temibile arma nelle mani di politici spregiudicati e militari fanatici? Sicuramente è tutto questo, ma è anche molto di più: Starship è importante per tutti noi. Perché è prima di tutto il simbolo del coraggio dell’innovazione.
Che ci piaccia o no il personaggio, è indubbio che Musk sia riuscito negli ultimi anni a scuotere pesantemente il carrozzone dell’industria spaziale tradizionale e delle agenzie spaziali mondiali. Ha osato inventare nuovi modi di fare spazio, ha aperto nuove strade. Lo ha fatto con il suo razzo riutilizzabile, il Falcon 9, con la costellazione Starlink, ma soprattutto con il suo nuovo approccio verso lo sviluppo e la verifica di nuove idee e tecnologie, e anche verso l’utilizzo di quelle esistenti dove possibile. Starship non è altro che il prossimo passo in questa direzione.
Da mezzo secolo, l’industria spaziale si era adagiata su un certo modo di fare spazio, e soprattutto si era rassegnata ai limiti di peso e dimensioni imposti dai lanciatori tradizionali. Invece di far crescere le dimensioni e le prestazioni dei lanciatori, invece di ridurre i costi per chilogrammo lanciato, l’industria aveva scelto la soluzione di ridurre le dimensioni e il peso dei satelliti. Sicuramente una soluzione utile e anche necessaria, ma che certo non affrontava il problema di base.
Con Starship, SpaceX vuole invertire la tendenza, puntando ad abbattere il limite di prestazioni dei lanciatori che ci eravamo abituati ad accettare supinamente. Cercando così di aprire una strada che avevamo dichiarato chiusa da troppo tempo.
Non è ancora sicuro che ci riesca. È una strada lunga e piena di insidie. Ma alla fine della strada c’è davvero, forse, la realizzazione del sogno di volare verso le stelle. Comunque vada a finire con Starship, per un tale sogno valeva decisamente la pena di provare.
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