A metà del 2025 sono presenti in orbita oltre 12 mila satelliti funzionanti e si stima che entro la fine del decennio potrebbero essere oltre 100 mila. Una tale quantità di satelliti richiederà un cambio di paradigma non solo nella gestione di tutti questi asset in orbita, ma anche per la loro produzione.
Migliaia di satelliti possono essere prodotti solo se inizia a pensare in termini di produzione più efficiente e standardizzata, quasi in serie. Questo è quello che pensano in Space Industries, una nuova azienda con sede a Torino, nata fra la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Abbiamo raggiunto il CEO e co-fondatore Giuseppe Santangelo per porgli qualche domanda sulla storia di questa azienda, le loro ambizioni e strategie.
Avete recentemente indicato tre direttrici su cui state lavorando: produzione in serie di satelliti, standardizzazione, efficienza di processo. Partiamo dalla produzione in serie: come la gestite oggi?
Space Industries si occupa di tutto il processo di assemblaggio, integrazione e testing dei satelliti, più noto come AIT. Questo è il nostro core business e che si basa su affidabilità, innovazione, ottimizzazione di processo per il contenimento di tempi e costi. Per riuscirci stiamo realizzando, nel nostro Stellar HUB di Settimo Torinese, una Camera Bianca di oltre 3000 mq, dotata di tutti gli strumenti e le macchine necessarie per le campagne di test. In altre parole, il satellite non esce dallo stabilimento se non per andare in rampa di lancio.
Questo è possibile anche grazie all’esperienza e la solidità di un’impresa come Comat Spa, azionista di maggioranza, ed esperta nella realizzazione, appunto, di camere bianche e impianti energetici, con la quale abbiamo fin dall’inizio coniugato la mia esperienza spaziale con la loro esperienza industriale, dando vita alla Space Industries.
Nella nostra technology roadmap, a due anni, c’è anche il design strutturale dei satelliti. Per noi questo è un punto chiave. L’ottimizzazione del design per il manufacturing è centrale per poter passare a una vera produzione seriale.
Che satelliti andrete a produrre? C’è veramente un trend verso i satelliti fra 100 e 600 kg di massa?
Sì, è il trend attuale. Lavorare su una taglia di satelliti principalmente tra 100 e 600 kg è stato da subito il progetto che sposava al meglio la nostra visione. E vediamo che molti player si stanno spostando verso quella fascia, cosa che per noi è positiva, una conferma. Lavorare su una piattaforma base in linea con questi parametri è uno dei nostri obiettivi.
Un altro dei parametri chiave in tutto questo è l’energia. L’energia è ciò che definisce davvero la capacità operativa dei satelliti, che saranno sempre più energivori: pensiamo ai data center in orbita, o alla propulsione elettrica. Già oggi le piattaforme satellitari si promuovono per i kilowatt disponibili: 3, 4, 5. Ma tra alcuni anni probabilmente si parlerà stabilmente di 10 kW per satelliti commerciali sotto i 1000 kg di massa questo permetterà al satellite applicazioni più spinte che includono aspetti propulsivi, telecomunicazione e chiaramente maggiore capacità di calcolo.

In precedenza ha paragonato questo processo al percorso fatto da IBM negli anni 80’ per i computer, o più in generale a come funziona il settore dell’automotive. Ci può spiegare questi paragoni?
Nel mondo dell’auto in realtà ci sono più standard di quanto sembri. Ogni marca ha il suo design, ma ci sono regole condivise: emissioni, aerodinamica, consumi. Lo stesso discorso va fatto per i satelliti. Possono avere payload diversi, ma alla base servono pannelli, propulsione, struttura termica. Tutti hanno le stesse esigenze.
L’automotive funziona perché ci sono standard veri. Anche l’aftermarket si regge su questo: componenti compatibili, chassis comuni. Noi vogliamo portare la stessa logica nei satelliti. Si personalizza il contenuto, ma lo chassis è standard.
Serve una standardizzazione reale, anche meccanica e produttiva. Come con i PC: all’inizio ognuno gestiva la memoria a modo suo, poi arrivò lo standard dei 640 KB di memoria convenzionale. Non era perfetta, ma ha dato un riferimento. Per i satelliti, l’energia può essere uno di quei parametri guida. Alcuni standard si stanno già imponendo da soli: ora serve formalizzarli.
Credete che questa svolta arriverà naturalmente o andrà spinta? Sarà una svolta così importante come sembra?
Sì, assolutamente. Se non ci sono eventi geopolitici che frenano tutto, questo è il momento più entusiasmante della storia dello Spazio contemporaneo. Stiamo passando da una fase pionieristica a una industriale.
Ora il mercato si sta muovendo da solo. Fino a pochi anni fa lo spazio era un muro invalicabile. Poi qualcuno ha fatto rientrare i razzi per riutilizzarli e ha decimato i costi. Ha aperto la porta a una rivoluzione dell’accesso allo spazio (sebbene, sia chiaro, ha ancora tantissimi problemi).
Ora le aziende si chiedono: se il lancio costa poco, perché il satellite deve costare milioni? E cercano soluzioni più commerciali. Startup, aziende, anche singoli utenti vogliono entrare nello spazio in autonomia. Il mercato c’è, la tecnologia anche. Ora bisogna potenziare l’organizzazione industriale. Chi ci arriva per primo, vince. Gli altri inseguiranno.
Il nostro obiettivo è dimostrare che il mercato commerciale esiste, che c’è domanda vera. Le istituzioni hanno fatto e fanno un lavoro straordinario, il loro ruolo è quello di accompagnare, accelerare, non sostituire una domanda. Il mercato va selezionato, non imposto. Selezioniamo i migliori, premiamo chi può scalare.
Quali sono le esigenze più forti che vedete oggi nel mercato?
Il mercato vuole cose chiare: un prodotto che funziona, a prezzo sostenibile e tempi certi. Proprio come SpaceX: niente voli su misura, ma prenotazioni online, prodotto preciso. Noi puntiamo a questo.
Vogliamo che un cliente possa comprare un satellite come compra un macchinario industriale. Catalogo, potenza, massa, payload, ordine, consegna. Niente sorprese. Nessuna discussione su soluzioni esotiche. Immaginiamo un giorno delle vere e proprie concessionarie di satelliti, che si acquisteranno come oggi si acquista un’automobile.
Abbiamo già clienti che ci dicono: “Mi servono X satelliti tra Y mesi, che funzionino” Punto. Non cercano il più sofisticato, ma quello più affidabile ed efficiente per le loro necessità.
Per questo investiamo in produzione serializzata, test e logistica. Con multipli lanci l’anno di veicoli spaziali affidabili e ripetibili, hai un business scalabile. E il prodotto diventa versatile: oggi i satelliti sono principalmente per il settore delle telecomunicazioni, dell’osservazione della Terra, della Difesa… domani potranno essere altro, ad esempio dei data center orbitali.
Già oggi alcune aziende vogliono processare dati direttamente in orbita. Prima scaricavano tutto a Terra, ora vogliono calcolare a bordo, con meno banda e più velocità. Ma serve energia, calcolo, raffreddamento. Serve un satellite potente.
E solo con la standardizzazione e la produzione scalabile possiamo soddisfare questa domanda. È così che il satellite diventa una commodity. Replicabile, prevedibile, integrabile.
Con questa impresa in mente, e con questi obbiettivi (produzione di centinaia di satelliti all’anno entro 5 anni). Che tipo di figure cercate oggi?
Puntiamo a costruire un’industria, non una startup passeggera. Vogliamo qualcosa che duri nel tempo, che diventi un riferimento per il settore. Si tratta di un progetto e di una visione a lungo termine. E questo implica responsabilità: posti di lavoro, competenze, filiere.
Ora stiamo assumendo. Cerchiamo profili industriali: ingegneri aerospaziali, meccanici, elettronici, software, tecnici AIT. Cerchiamo talenti che vogliano unirsi a questo progetto, che vogliano avere un impatto concreto nel settore e che vogliano fare del successo di Space Industries il motore della loro carriera, e viceversa. Abbiamo forze, visione, passione e capacità per fare la differenza nella tecnologia spaziale italiana ed europea.
Ringraziamo Giuseppe Santangelo di Space Industries per la sua disponibilità a questa intervista.










