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Nuovi indizi sul ruolo del metano nella ricerca di vita su altri mondi

Mariasole Maglione di Mariasole Maglione
Febbraio 11, 2025
in Astronomia e astrofisica, NASA, News, Scienza
K2-18 b

Rappresentazione artistica dell'esopianeta K2-18 b. Credits: NASA, CSA, ESA, J. Olmstead (STScI), N. Madhusudhan (Cambridge University)

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La ricerca della vita oltre la Terra si basa sull’individuazione di biomarcatori, segnali chimici che potrebbero indicare la presenza di organismi viventi. Tra questi, il metano ha sempre avuto un ruolo controverso. Questo gas, sulla Terra, è prodotto sia da processi biologici che geologici, rendendo difficile la sua interpretazione quando individuato su altri pianeti.

Ora, un nuovo studio guidato da ricercatori del Goddard Space Flight Center della NASA suggerisce che il metano potrebbe essere un biomarcatore più affidabile di quanto si pensasse in passato. Gli scienziati hanno analizzato la chimica atmosferica degli esopianeti con un innovativo strumento di modellizzazione, scoprendo che la presenza di metano in quantità significative, senza abbondanza di monossido di carbonio, potrebbe essere un forte indizio di attività biologica.

Infatti, in condizioni normali, i processi geologici tendono a produrre anche monossido di carbonio, mentre la vita microbica tende a eliminarlo dall’atmosfera. Il nuovo modello proposto dai ricercatori evidenzia quindi come, in particolari condizioni, il metano possa essere un segnale chiaro della presenza di forme di vita.

Il metano come segnale biologico: lo strumento BARBIE

Tradizionalmente, il metano è stato considerato un biomarcatore ambiguo perché può essere prodotto sia da fenomeni geologici che da attività biologica. Tuttavia, il nuovo studio dimostra che, se presente in quantità elevate e in assenza di monossido di carbonio, è molto più probabile che abbia un’origine biologica. Per testare questa ipotesi, gli scienziati hanno utilizzato BARBIE (Bayesian Atmospheric Retrieval for Biosignatures), un sofisticato strumento di modellizzazione atmosferica.

BARBIE è basato sul metodo bayesiano, un metodo statistico impiegato per determinare i risultati di probabilità dei dati in base a un certo input di dati, il che significa che le probabilità cambiano in base all’input di dati aggiuntivi. Nel dettaglio, BARBIE è un framework progettato per valutare la probabilità che una determinata composizione atmosferica derivi da processi biologici, piuttosto che da fenomeni puramente geochimici. Il modello sfrutta dati spettroscopici e simulazioni chimiche per analizzare l’interazione tra diversi gas, e stabilire se la loro combinazione possa essere spiegata solo da processi abiogenici.

Nell’analisi delle atmosfere esoplanetarie, BARBIE ha dimostrato che la presenza di metano in abbondanza senza un corrispondente livello di monossido di carbonio è statisticamente improbabile se spiegata esclusivamente da processi geologici.

La figura mostra lo spettro di un'atmosfera esoplanetaria. Il grafico superiore rappresenta l'albedo geometrico con il contributo di diverse molecole, mentre quello inferiore evidenzia le loro specifiche bande di assorbimento tra 0.2 e 2 micrometri. Credits: Latouf et al. 2025
La figura mostra lo spettro di un’atmosfera esoplanetaria. Il grafico superiore rappresenta l’albedo geometrico con il contributo di diverse molecole, mentre quello inferiore evidenzia le loro specifiche bande di assorbimento tra 0.2 e 2 micrometri. Credits: Latouf et al. 2025

Il software utilizza un approccio di inferenza bayesiana per quantificare il grado di incertezza nei dati osservativi, migliorando l’affidabilità delle previsioni. Questo è particolarmente importante quando si tratta di misurazioni effettuate da telescopi spaziali come il James Webb, che osservano gli esopianeti a grandi distanze e devono distinguere segnali biologici da interferenze strumentali e fonti alternative. Grazie a BARBIE, gli scienziati possono ora assegnare un valore di probabilità all’ipotesi che un’atmosfera contenente metano sia effettivamente il prodotto di attività biologica, facilitando l’identificazione di mondi potenzialmente abitabili.

Le implicazioni per la ricerca astrobiologica

Se confermato, questo studio potrebbe ridefinire le priorità delle future missioni di esplorazione spaziale. Il Webb sta già analizzando le atmosfere di esopianeti, e potrebbe fornire i primi dati concreti su mondi con abbondanti quantità di metano e con le giuste condizioni presentati da questa ricerca.

Inoltre, le missioni pianificate per il prossimo decennio, come il telescopio spaziale Habitable Worlds Observatory (HWO) della NASA e la missione ARIEL (Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey) dell’ESA, potrebbero affinare la ricerca e individuare esopianeti con atmosfere compatibili con la vita.

Un aspetto fondamentale di questo studio è che fornisce agli scienziati un criterio più semplice e chiaro per identificare potenziali mondi abitabili. Invece di cercare una complessa combinazione di gas, potrebbe essere sufficiente individuare il metano in un contesto chimico specifico per avere un forte indizio di vita.

Tuttavia, gli esperti avvertono che la conferma di una Biosignature richiede sempre più prove, e che serviranno ulteriori osservazioni per escludere processi geologici rari che potrebbero imitare la presenza biologica.

Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal, è reperibile qui.

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Tags: astrobiologiaesopianetaMetanoNasapianeta extrasolareVitavita extraterrestre

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