Sono cominciati l’11 giugno 2024 i lavori per la messa in sicurezza del ramo Est-Ovest del radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina (BO), all’interno delle attività previste dal progetto NextGeneration – Croce del Nord (NG-CROCE). Si tratta di un programma finanziato dal Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), coordinato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) in collaborazione con il Politecnico di Milano, e include una serie di ambiziosi obbiettivi relativi all’aggiornamento di due radiotelescopi italiani:
- Il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina, in Emilia Romagna. Tra i più grandi radiotelescopi di transito del mondo, è composto da due rami, uno allineato in Nord-Sud, lungo 640 metri e composto da 64 antenne cilindrico-paraboliche e un secondo, allineato in Est-Ovest, composto da un unico cilindro parabolico di 564 metri. Il sito di Medicina, oltre alla Croce del Nord, ospita anche un’antenna parabolica da 32 metri di diametro, per osservazioni a più alta frequenza.
- Il radiotelescopio di Noto in Sicilia, dotato di un’antenna parabolica di 32 metri, identica a quella di Medicina.
NG-CROCE prevede aggiornamenti e installazioni presso questi siti per lo studio dei Fast Radio Burst (lampi radio veloci) e il monitoraggio dei detriti spaziali. Al progetto collaborano diverse professionalità del Politecnico di Milano, dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna (IRA), dell’Osservatorio Astronomico di Arcetri e dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari. Abbiamo avuto occasione di parlare dell’importanza di questo progetto, dei suoi obbiettivi e delle sue implicazioni per la ricerca con il coordinatore scientifico del programma, l’ing. Germano Bianchi, e con il Research Manager, il dott. Andrea Orlati, di IRA/INAF.
Ing. Bianchi, cos’è e cosa prevede il programma NextGeneration – Croce del Nord?
Il programma principalmente ha due scopi. Il primo è quello di potenziare la rete nazionale di sensori per il monitoraggio dei satelliti, dei detriti spaziali e in generale degli oggetti orbitanti. Questo servirà per dare un forte contributo alla rete europea chiamata EU SST, European Space Survaillance and Tracking, per la catalogazione degli oggetti orbitanti. E anche per i servizi di rientro controllato di satelliti di grandi dimensioni, e di previsione di possibili collisioni fra satelliti non più operativi o con detriti spaziali. Oppure, nel caso in cui la collisione non si riesca a evitare, la frammentazione comunque deve essere controllata, monitorata, per capire dove vanno tutti gli oggetti che si sono generati dalla collisione, o da un’esplosione in orbita.
Questo ce lo chiede anche la nostra protezione civile. Abbiamo visto esempi di rientro, come la stazione spaziale cinese Tiangong-1 nel 2018 che ci fece tenere per molti giorni il fiato sospeso perché alcune regioni del sud Italia potevano essere colpite. O anche nel 2022, quando rientrò il razzo cinese Lunga Marcia 5B nell’oceano Pacifico e Indiano, ma fino a 15 minuti prima era sulla Calabria.
Il secondo scopo è invece quello di dotare l’Italia di sensori per la ricerca nel campo dell’osservazione di FRB, Fast Radio Bursts, ovvero lampi radio veloci scoperti pochi anni fa e sui quali ancora tutta la comunità scientifica si sta interrogando. Al riguardo c’è un’attenzione importante non solo in Italia, ma anche in altri posti come in Canada, dove stanno costruendo un nuovo radiotelescopio, CHORD, dedicato alla ricerca di questi FRB.
Noi nell’ottica di aumentare la capacità nazionale, stiamo dotando la stazione di Noto di un nuovo ricevitore per poter osservare questi lampi radio veloci e stiamo inoltre aprendo una collaborazione con i ricercatori canadesi, per lo scambio di dati informativi appena disponibili. Questa funzionerà in modo che se i canadesi per primi scoprono qualcosa, noi siamo subito in grado di poter osservare l’evento nel giro di qualche ora, o se capita a noi di trovare qualcosa, loro lo possono seguire. Riusciamo in questo modo a renderci un po’ protagonisti nel campo internazionale della ricerca anche di questi nuovi fenomeni astrofisici.
Dott. Orlati, i lavori di aggiornamento cosa comporteranno? Entro quando è previsto siano conclusi?
Il progetto è incentrato sullo strumento Croce del Nord, che è uno strumento degli anni Sessanta. Già il braccio Nord-Sud è stato aggiornato negli anni scorsi, e con questo si fa già dell’attività abbastanza importante per la Space Surveillance, così come la ricerca di FRB. L’idea è di potenziare lo strumento con l’upgrade del braccio Est-Ovest. Essendo un’antenna degli anni Sessanta richiede degli interventi abbastanza radicali, sia dal punto di vista strutturale, che dal punto di vista dei sensori, del back-end, dell’elettronica, del software. Alcune di queste attività di aggiornamento le stiamo commissionando all’esterno, altre le stiamo facendo internamente, quindi sono molti i lavori che stiamo seguendo. Le prime attività appunto sono partite la settimana scorsa, per quanto riguarda la Croce del Nord.
Poi, analoghi interventi si faranno anche sulla parabola di Noto, in Sicilia, che andrà a supporto nell’attività della Croce del Nord. Anche qui si tratterà di interventi strutturali, interventi su sensori, software, back-end, eccetera.
I tempi sono quelli che detta il PNRR, che prevede al momento la chiusura di tutto entro giugno dell’anno prossimo [2025 ndr].
Ing. Bianchi ha qualcosa da aggiungere?
Sì, una cosa a cui tengo particolarmente, perché viviamo in un momento storico di cambiamenti climatici importanti e per questo intendiamo transire verso l’energia pulita. Come parte del programma finanziato dal PNRR, abbiamo previsto l’installazione di due impianti fotovoltaici di pannelli solari.
Vorremmo anche comprare tutto materiale che abbia un ciclo di vita nell’economia circolare, per non disperdere materiale nell’ambiente, lasciare l’ambiente il più pulito possibile. Cercheremo anche di dotarci di illuminazione a LED per ridurre anche i consumi. L’obbiettivo è, quindi, quello di alimentare il più possibile i nostri impianti con energia pulita e di quella che generiamo, cercare di sprecarne il meno possibile.
Ing. Bianchi, quale impatto avranno sulla ricerca gli aggiornamenti dei radiotelescopi di Medicina e Noto, dal punto di vista delle prestazioni?
Per quanto riguarda il monitoraggio di oggetti orbitanti, sarà installata a Noto un’antenna trasmittente tra le più a sud d’Europa, che ci permetterà di vedere oggetti orbitanti con elevazione molto bassa. Prima abbiamo citato la Tiangong-1 e il Lunga Marcia 5B, che per noi da Medicina erano oggetti molto bassi all’orizzonte, facevamo quasi fatica a vederli. Se avessimo già avuto a disposizione l’antenna di Noto, lì ci sarebbero passati sopra la testa.
Questo ci fa capire l’importanza e le potenzialità che un’antenna così a sud può offrire. Anche per la rete europea avere un’antenna molto a sud ci permette di allargare il campo di catalogazione, ma anche di prevenire più eventi di rientro incontrollato.
Invece con l’aggiornamento dell’antenna Est-Ovest di Medicina, avremo 18mila metri quadrati in più di area collettiva. Ciò vuol dire aumentare profondamente la sensibilità del nostro ricevitore: potremo trovare oggetti dell’ordine del centimetro a 1000 km di altezza, il che è veramente un risultato importante dal punto di vista delle prestazioni.
Poi c’è l’osservazione dei Fast Radio Burst. Una volta concluso il lavoro, avremo tre antenne nazionali, il Sardinia Radio Telescope (SRT), la parabola di Noto e la Croce del Nord, che lavoreranno tutte e tre alla stessa frequenza. Quindi si potrà fare quella che viene chiamata Long Baseline Interferometry (LBI) [Far lavorare assieme i radiotelescopi come uno unico ndr], con antenne dislocate in direzione Nord-Sud ed Est-Ovest entro 1000 km. Questo permette, unendo tutti i dati, di avere una risoluzione importante, in grado di individuare con abbastanza precisione il punto in cui nel cielo appariranno questi lampi radio.
Dott. Orlati, per quanto riguarda il monitoraggio dei detriti spaziali, ci sarà anche una collaborazione diretta con il Centro Spaziale ASI di Matera o con altri enti e realtà italiani?
La collaborazione con altri enti italiani c’è già. A livello nazionale è stato creato un consorzio che vede coinvolti l’Agenzia Spaziale Italiana e il Centro Spaziale di Materia, la difesa e in particolare l’aeronautica, e l’INAF. Questi enti fanno parte del gruppo italiano del consorzio europeo EU SST. A livello nazionale abbiamo sensori radar e ottici. Abbiamo citato prima la Croce del Nord, ma l’INAF ha anche sensori ottici, come il telescopio Cassini di Loiano, per il monitoraggio di oggetti geostazionari.
I militari hanno un centro operativo dove raccolgono tutti i dati dei sensori nazionali e li mandano nel database europeo che si trova in Germania. Mentre l’Agenzia Spaziale Italiana ha un laser a Terra, l’unico sensore nazionale laser in Italia. Al Centro Spaziale di Matera raccolgono poi tutti i dati, un po’ come un centro di backup sia dei dati che l’ASI vuole tenere internamente, che dei dati che poi verranno passati al database europeo.
Il nostro scopo è di avere un catalogo europeo che permetta ai nostri operatori di satelliti di avere informazioni aggiornate, per capire se devono manovrare un satellite loro perché è in rotta di collisione con qualche oggetto, con qualche frammento. Poi questo servizio è di interesse anche per la protezione civile, per intervenire immediatamente in caso di caduta di oggetti dallo spazio.
Ringraziamo l’ing. Bianchi e il dott. Orlati per la disponibilità.