Questo approfondimento è realizzato da Piergiorgio Pescali.
J. Robert Oppenheimer, lo scienziato su cui Christopher Nolan ha basato la sua pellicola in uscita in Italia il 23 agosto, è conosciuto soprattutto per i suoi contributi alla fisica nucleare.
L’appellativo, per la verità improprio, con cui viene spesso accompagnato il suo nome, “padre della bomba atomica”, nasconde però gli importanti apporti dati anche nel campo astronomico, dove il ricercatore statunitense ha contribuito ad aprire nuove strade di investigazione.
Il primo articolo scientifico: l’approssimazione di Born-Oppenheimer
Nel 1927, durante il suo felice soggiorno a Gottinga, Oppenheimer scrisse il suo primo articolo scientifico pubblicato dalla prestigiosa rivista Annalen der Physik [1]: Sulla teoria quantistica delle molecole. Era un lavoro firmato assieme a Max Born, suo supervisore nella città tedesca, che all’inizio fu contrariato per la brevità dell’articolo preparato dal suo studente.
Di propria iniziativa, Born lo allungò inserendo formule e teorie che, secondo Oppenheimer, erano ridondanti e non necessarie. Una delle caratteristiche della sua scrittura infatti, che si ritorse contro di lui impedendogli di acquisire altri titoli che meritava, era l’estrema sintesi con cui presentava i propri articoli, tanto da farli sembrare addirittura superficiali [2].
In quell’articolo apparso sugli Annalen comparve per la prima volta l’Approssimazione di Born-Oppenheimer, che prevedeva velocità diverse per elettroni e nucleoni. I primi, avendo una massa 1.836 volte inferiore a quella di protoni e neutroni, hanno velocità maggiori rispetto ai secondi. La velocità di un elettrone all’interno di un atomo è approssimativamente pari a 106 m/s, mentre quella di un nucleone è di 102 m/s.
Considerando i nuclei in posizione fissa, l’energia di un atomo poteva essere calcolata sommando l’energia cinetica dei soli elettroni con quella coulombiana, derivante dalle forze di attrazione e repulsione degli elettroni rispetto al nucleo. Ciò semplificava i calcoli delle proprietà e delle dinamiche molecolari.
La tesi di dottorato: l’effetto fotoelettrico
Oppenheimer presentò la tesi di dottorato l’11 maggio 1927. Si intitolava Zur Quantentheorie kontinuierlicher Spektren [3] (“Sulla teoria quantistica degli spettri continui”) e in essa calcolava l’effetto fotoelettrico dell’idrogeno e dei raggi X. Secondo questo effetto, un fotone avente energia sufficientemente alta, quando incide su un atomo trasferisce la sua energia ad un elettrone esterno espellendolo dal proprio orbitale. Anni dopo, Hans Bethe ricordò la tesi di Oppenheimer:
I calcoli combaciavano perfettamente con le misure di assorbimento dei raggi X, ma sembravano non combaciare con l’opacità dell’idrogeno nel Sole. Questa discrepanza era dovuta alla limitata conoscenza dell’atmosfera solare nel 1926 dato che allora si credeva che il Sole fosse composto da elementi pesanti, dall’ossigeno in su, come la Terra. Molti anni dopo, Strömgren suggerì che il principale costituente fosse l’idrogeno, il che riportò i calcoli sull’opacità di Oppenheimer in linea con i dati astronomici. [4]
Un mancato premio Nobel
Il metodo di lavoro di Oppenheimer e i suoi innumerevoli interessi furono i principali motivi per cui al fisico non venne mai riconosciuto il premio Nobel. Venne però nominato quattro volte per ricevere l’ambito riconoscimento: nel 1946 (da David Mathias Dennison), 1951 (da Leopold Ruzicka), 1955 (da Harlow Shapley), 1967 (da Albert Allen Bartlett) [5].
La sua conoscenza della fisica spaziava a 360 gradi e, come se non bastasse, sconfinava anche nella letteratura e nelle religioni, in particolare quelle orientali. Una tal mole di passioni impedì a Oppenheimer di focalizzarsi su un unico problema.
Nella sua carriera spianò la strada a moltissime scoperte grazie alla sua intuizione, ma personalmente non raggiunse mai nessun obiettivo. Gettava semi che venivano poi coltivati e raccolti da altri scienziati.
La tesi del positrone e dell’antimateria, in contrapposizione all’idea abbozzata da Dirac di un elettrone che si muoveva in un campo elettromagnetico comportandosi come una particella che portasse energia positiva pur rimanendo con carica negativa, fu solo uno dei tanti argomenti la cui soluzione era stata percepita da Oppenheimer, ma non perseguì mai il proposito di portare a termine e confermare la sua idea.
Fu invece Dirac, raccogliendo l’obiezione del collega, a prevedere l’esistenza di una particella avente la stessa massa dell’elettrone, ma con carica opposta. Nel 1932 Carl David Anderson, confermò la tesi scoprendo la particella che battezzò col nome di positrone.
Pietre miliari per lo studio di stelle di neutroni e buchi neri
Un altro esempio di come Oppenheimer, in quegli anni, lavorasse in modo poco sistematico, fu l’apporto dato all’astrofisica. Tra il 1938 e il 1939 scrisse tre articoli destinati a diventare delle pietre miliari nello studio delle stelle di neutroni e dei buchi neri.
Il primo, On the Stability of Stellar Neutron Cores [6] (“Sulla stabilità dei nuclei stellari di neutroni”), trattava delle nane bianche, stelle di piccole dimensioni, ma ad alta densità. Il secondo, On Massive Neutron Cores [7] (“Sui nuclei di neutroni massicci”) introduceva quello che verrà conosciuto come limite di Oppenheimer-Volkoff.
Oppenheimer e il suo allievo George Volkoff, utilizzando le soluzioni analitiche di Richard Chace Tolman per un gas di Fermi di neutroni, trovarono che esisteva un limite superiore per le stelle di neutroni pari a 0.71 masse solari (oggi portato a 1.5-3 masse solari) oltre il quale la stella “si contrarrà indefinitamente, sebbene più lentamente, senza mai raggiungere il vero equilibrio” [8]. Un gas di Fermi è un gas di fermioni non interagenti di cui, applicando la statistica di Fermi-Dirac e conoscendone la densità e la temperatura, è possibile determinare la distribuzione energetica.
A conclusione del loro articolo, i due scienziati affermavano che “la questione di cosa accada alle stelle con massa solare maggiore di 1.5 quando le loro fonti di energia si esauriscono, rimane ancora senza risposta”. [9]
Oppenheimer: pioniere dell’esistenza dei buchi neri
A questa domanda, Oppenheimer tentò di rispondere con il suo successivo articolo, On Continued Gravitational Contraction (“Sulla contrazione gravitazione continua”), redatto con lo studente Harland Snyder e pubblicato il 1° settembre 1939, giorno dell’invasione della Germania in Polonia che diede inizio alla Seconda guerra mondiale [10].
Il lavoro è giudicato ancora oggi come pioneristico nello studio dei buchi neri, perché i due fisici ipotizzarono:
Quando tutte le fonti termonucleari di energia si esauriranno, una stella sufficientemente pesante collasserà. A meno che la fissione dovuta alla rotazione, l’irraggiamento della massa o l’espulsione della massa per irraggiamento non riducano la massa della stella all’ordine di quella del sole, questa contrazione continuerà indefinitamente. [11]
Una stella con massa maggiore di 0.7 quella del Sole e che ha utilizzato tutte le fonti di energia a sua disposizione “collasserà sotto l’influenza del proprio campo gravitazionale rilasciando energia che sarà divisa in quattro parti:
- Energia cinetica dovuta ai moti delle particelle nella stella.
- Radiazione.
- Energia cinetica e energia potenziale, causata dagli strati più esterni della stella, che potrebbe essere espulsa sotto forma di radiazione.
- Energia di rotazione, che potrebbe dividere la stella in due o più parti. [12]
Oppenheimer e Snyder considerarono il caso di una stella che non fosse coinvolta nel quarto caso, e in cui la “pressione della materia stellare fosse insufficiente a controbilanciare la propria attrazione gravitazionale”. [13]
Un osservatore esterno vedrebbe che vicino alla superficie della stella “la materia cadrebbe verso il cuore della stella a velocità prossima a quella della luce (…) e la stella tenderebbe a chiudersi in sé stessa interrompendo ogni comunicazione con un osservatore distante da essa”. [14] Al termine, concludevano i due autori, “un osservatore che sarebbe invischiato in tale evento, non sarebbe più in grado di inviare alcun segnale luminoso dalla stella”. Alla fine di tutto “persisterà solo il suo campo gravitazionale”. [15]
Oppenheimer e Snyder avevano previsto l’esistenza di un buco nero, un nome che verrà proposto solo il 29 dicembre 1967 da John Archibald Wheeler durante il convegno dell’American Association for the Advancement of Science tenutosi a New York. [16]
Verso calcoli complessi
I loro calcoli prevedevano un modello semplificato del collasso gravitazionale, tenendo conto solo di un sistema in cui le particelle erano così separate le une dalle altre che i problemi derivanti dalla pressione e dalla temperatura potevano essere trascurati. [17]
I calcoli di Oppenheimer e Snyder, inoltre, si riferivano a una stella perfettamente sferica e priva di rotazione. In realtà una stella rotea su sé stessa, quindi avrà un rigonfiamento in corrispondenza del suo equatore che aumenterà all’atto dell’implosione espellendo materia gassosa ad alta densità che comprende anche onde elettromagnetiche, onde gravitazionali e neutrini.
Negli anni Quaranta non esisteva alcun modo per calcolare tutte le variabili apportate dalla pressione termica, dalla pressione prodotta dalle forze nucleari, dalla pressione di degenerazione, dal calore, dalle radiazioni, dalle onde d’urto e dall’espulsione della massa. Solo con le ricerche militari sulla bomba termonucleare negli anni Cinquanta gli astrofisici avranno a disposizione gli strumenti per calcolare tutte le variazioni in atto.
Ironia della sorte, sullo stesso numero della rivista in cui apparve On Continued Gravitational Contraction, altri due fisici, Niels Bohr e John Wheeler pubblicavano un articolo intitolato The Mechanism of Nuclear Fission [18]. In esso, dimostrarono che i nuclei di uranio-235 e di plutonio-239 erano quelli che avrebbero potuto più facilmente provocare la fissione nucleare.
I due fisici intuirono che nuclei con un numero dispari di protoni e un numero pari di neutroni (o viceversa) sono meno stabili (quindi più facili da fissionare) rispetto a nuclei che contengono un numero pari (o dispari) di entrambi protoni e neutroni (l’uranio-235 ha 92 protoni e 143 neutroni, mentre l’uranio-238 ha 92 protoni e 146 neutroni).
Pochi anni più tardi, Wheeler e Oppenheimer si “scambiarono” i propri interessi avvicendandosi il primo nello studio dei buchi neri, e il secondo nella fissione atomica.
Fu infatti John Wheeler che, nel 1963, durante la conferenza di Dallas, confermò i calcoli di Oppenheimer e Snyder [19] e quattro anni più tardi, durante un discorso all’American Association for the Advancement of Science tenuto nel dicembre 1967, coniò il termine buco nero. Robert J. Oppenheimer, pioniere della loro esistenza, era morto sette mesi prima.
Fonti
[1] M. Born, J.R. Oppenheimer, Zur Quantentheorie der Molekeln, in Annalen der Physik, No. 389, No. 20, 1927, pp. 457-484
[2] Kai Bird e Martin J. Sherwin, Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica – Il trionfo e la tragedia di uno scienziato, Garzanti editore, 2007, p. 90
[3] J.R. Oppenheimer, Zur Quantentheorie kontinuierlicher Spektren, in Zeitschrift für Physik A Hadrons and nuclei volume No. 41, Agosto 1927, pp. 268–293
[4] Hans Bethe, J. Robert Oppenheimer. 1904-1967, in Biographical Memoirs of Fellows of the Royal Society, Vol. 14 (Nov. 1968), p. 393
[5] Nomination Archive Nobel Prize Outreach AB 2023
[6] J.R.Oppenheimer, Robert Serber, On the Stability of Stellar Neutron Cores, Physical Review, Vol. 54, Issue 7, Ottobre 1938, p. 540
[7] J.R. Oppenheimer, G.M. Volkoff, On Massive Neutron Cores, Physical Review, Vol. 55, Issue 374, 15 Febbraio 1939, pp. 374-381
[8] J.R. Oppenheimer, G.M. Volkoff, On Massive Neutron Cores, Physical Review, Vol. 55, Issue 374, 15 Febbraio 1939, p. 374
[9] J.R. Oppenheimer, G.M. Volkoff, On Massive Neutron Cores, Physical Review, Vol. 55, Issue 374, 15 Febbraio 1939, p. 380
[10] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, pp. 455-459
[11] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, p. 455
[12] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, p. 455
[13] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, p. 456
[14] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, p. 456
[15] J.R. Oppenheimer, H Snyder, On Continued Gravitational Contraction, Physical Review, Vol. 56, Issue 455, 1 Settembre 1939, p. 456, 459
[16] John Archibald Wheeler, Our universe: the known and the unknown, discorso all’American Association for the Advancement of Science, New York, 29 dicembre 1967, in American Scholar, No. 37, 1968, pp. 248-274
[17] John Archibald Wheeler, The Lesson of the Black Hole, Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 125, No. 1, Febbraio 1981, p. 27
[18] Niels Bohr, John Archibald Wheeler, The Mechanism of Nuclear Fission, Physical Review, Vol. 56, Issue 426, 1 Settembre 1939, pp. 426-450
[19] B. Kent Harrison, Report presented by J.A. Wheeler at the First Texas Symposium on Relativistic Astrophysics, Dallas, 16-18 Dec. 1963, in Gravitation theory and gravitational collapse, University of Chicago Press, 1965
Piergiorgio Pescali
Ricercatore scientifico. Il lavoro di ricerca nel campo delle particelle e nel campo nucleare mi porta a viaggiare per il mondo visitando centrali nucleari, tra cui quelle di Chernobyl, Zaporizhzhia e Fukushima. Collaboro con radio, riviste, quotidiani e network radiotelevisivi in Europa ed in Asia. Dal 1996 ho visitato regolarmente la Corea del Nord dove ho incontrato più volte Kim Jong Un e Kim Yo Jong. I miei ultimi libri pubblicati sono “La nuova Corea del Nord-Come Kim Jong Un sta cambiando il Paese” (Castelvecchi, 2019), “Capire Fukushima, la lotta del Giappone, il nucleare oltre gli stereotipi” (Lekton, 2021), “Il pericolo nucleare in Ucraina” (Mimesis, 2022).