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I wormhole quantistici e la “conferma” sperimentale: una prospettiva storica

Mila Racca di Mila Racca
Dicembre 15, 2022
in Astronomia e astrofisica, Divulgazione, News, Scienza
Wormhole e segnale

I ricercatori sono stati in grado di inviare un segnale attraverso il wormhole aperto, anche se non è chiaro in che senso si possa affermare che il wormhole esista.

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Ad inizio dicembre 2022, un team di ricerca del California Institute of Technology ha implementato un nuovo protocollo di teletrasporto wormhole utilizzando il computer quantistico di Google, ospitato presso Google Quantum AI a Santa Barbara, in California.

“I fisici hanno creato un wormhole olografico con un computer quantistico” tuttavia, è un titolo che può trarre in inganno i meno esperti, soprattutto data la complessità delle teorie alla base di questo esperimento. Addirittura, da alcuni è stato detto che i fisici avessero aperto un varco spazio-temporale, creando un wormhole proprio qui sulla Terra.

L’esperimento eseguito in California è però sorprendente e particolarmente importante anche senza doverne accentuare (o inventare) delle parti. Proviamo a comprenderlo meglio, partendo dal rendere un po’ più comprensibile la fisica utilizzata. In questo articolo, in particolare, vogliamo rendere più famigliari i concetti di wormhole e di entanglement quantistico, teorie alla base degli studi sui wormhole quantistici.

Il ponte di Einstein-Rosen o wormhole

Albert Einstein e Nathan Rosen in un loro articolo del 1935 intitolato The Particle Problem in the General Theory of Relativity, scrissero:

Nonostante il suo grande successo in vari campi, la fisica teorica attuale è ancora lontana dall’essere in grado di fornire una base unificata su cui potrebbe basarsi la trattazione teorica di tutti i fenomeni. Abbiamo una teoria relativistica generale dei fenomeni macroscopici, che però finora non è stata in grado di rendere conto della struttura atomica della materia e degli effetti quantistici, e abbiamo una teoria quantistica, che è in grado di rendere conto in modo soddisfacente di un gran numero di fenomeni atomici e quantistici ma che per sua stessa natura è inadatta al principio di relatività. In queste circostanze non sembra superfluo sollevare la questione di quanto il metodo della relatività generale fornisca la possibilità di spiegare i fenomeni atomici.”

Era il luglio del 1935 e l’umanità si stava interfacciando per la prima volta con l’idea che ci potesse essere un’unione tra le due teorie più importanti della fisica. Il punto d’incontro tra la Relatività Generale (RG) e la Meccanica Quantistica (MQ) avrebbe definito la cosiddetta teoria del tutto.

Mentre cercavano di trovare questo punto di unione, Einstein e Rosen si resero conto che la teoria della Relatività Generale consente a due buchi neri di essere interconnessi da quello che loro definirono semplicemente un ponte. L’idea scaturì quando i due fisici si imbatterono in alcune problematiche sollevate dal collega Karl Schwarzschild.

Nel 1916, pochi mesi dopo che Einstein aveva pubblicato la sua teoria della relatività, Schwarzschild dimostrò che la massa può attrarre gravitazionalmente se stessa così tanto da diventare infinitamente concentrata in un punto, curvando lo spazio-tempo così bruscamente, che in quel punto le variabili diventano infinite e le equazioni di Einstein non funzionano correttamente. Oggi noi chiamiamo questi punti singolarità e sappiamo che esistono in tutto l’Universo, ognuno nascosto al centro di un buco nero.

Albert Einstein (sinistra) e Nathan Rosen (destra).
Albert Einstein (sinistra) e Nathan Rosen (destra).

Per porre rimedio, Einstein e Rosen eliminarono la singolarità dalle equazioni per sostituirla con un tubo extra-dimensionale capace di creare un passaggio verso un’altra parte dello spazio-tempo: il ponte di Einstein-Rosen (ER). Noi oggi lo conosciamo con il nome di wormhole, termine coniato un ventennio dopo.

Dopo l’entusiasmo iniziale per la sua straordinaria aurea magica, il ponte aveva però riportato immediatamente Einstein con i piedi per terra, poiché si era dimostrato inattraversabile. I wormholes sono infatti per loro natura degli oggetti instabili. Si aprono e si chiudono molto velocemente e in maniera tanto caotica che una presunta navicella spaziale non avrebbe neanche il tempo di cadere dentro a uno di essi, che questo si sarebbe già distrutto. Ma a cosa serve un ponte che collega due punti lontani nello spaziotempo, se non puoi passarci dentro? Questo si chiedeva probabilmente Einstein, con grande frustrazione. Oggi sarebbe felice di sapere che alla sua teoria mancava di un pizzico di meccanica quantistica.

L’entanglement quantistico

Nello stesso anno, venne pubblicato un altro studio teorico firmato dagli scienziati Einstein, Boris Podolsky e Rosen (EPR) riguardante l’entanglement quantistico. L’entanglement è un legame tra due o più particelle che prevale su ogni distanza spaziale. Tale unione determina che, in un sistema di due particelle definite correlate (entangled), misurare una delle due particelle implichi istantaneamente il misurare anche l’altra.

Due particelle sono correlate quando nascono nell’Universo dallo stesso processo fisico. Un esempio semplice è il decadimento beta-positivo, durante il quale un protone decade in un neutrone, un positrone e un neutrino elettronico. Si tratta di un processo radioattivo a cui sono soggetti gli atomi che contengono un eccesso di protoni e che quindi non sono stabili. Tramite questa reazione i protoni in eccesso diventano neutroni e l’atomo torna ad essere stabile. Ma non concentriamoci tanto sul processo in sè e sulle particelle in questione, quanto più sul fatto che durante esso si ha una trasformazione: una particella (protone) si trasforma in tre (neutrone, positrone e neutrino elettronico).

Questo genere di trasformazioni fisiche devono rispettare delle leggi di conservazione ben precise che riguardano le osservabili, cioè le quantità misurabili delle particelle (ad esempio spin, momento angolare, carica e posizione). Ora, sappiamo che in meccanica quantistica gioca in prima linea il principio dell’incertezza di Schrodinger. Secondo questo è l’osservatore, al momento di effettuare un rilevazione, a determinare le caratteristiche della particella esaminata. Cioè, noi non conosciamo le osservabili del positrone finchè non le misuriamo. Una volta che le abbiamo misurate, abbiamo automaticamente misurato anche la stessa osservabile delle altre particelle. Il neutrone, il positrone e il neutrino sono dette particelle correlate e solo legate da un entanglement quantistico.

Einstein riteneva che questa proprietà delle particelle fosse un'”azione a distanza”. Riconosceva la forza di questa teoria, ma non gli piaceva, perché non riusciva a farla convergere verso la sua teoria della relatività.

La dualità wormhole-entanglement quantistico

Serviranno settantotto lunghi anni per dire ad Einstein che per risolvere ogni suo dubbio avrebbe dovuto semplicemente strizzare un occhio alle sue due grandi intuizioni. Nel 2013 il fisico argentino Maldacena, in seguito ad alcuni suoi studi di gravità, si rese conto che il ponte di ER e l’entanglement quantistico di EPR erano semplicemente due facce della stessa medaglia. Con una mail criptica al suo collega americano Susskind, egli si fece portavoce di un’intuizione rivoluzionaria:

Rappresentazione grafica della dualità tra il ponte di Einstein Rosen e i l’entanglement quantistico di Einstein, Podolsky e Rosen.
Credits: Quanta Magazine

“ER = EPR” era il testo dell’ e-mail. Susskind, fisico teorico studioso della teoria dei campi, capì immediatamente e i due svilupparono rapidamente la congettura insieme. “Sosteniamo che il ponte di Einstein Rosen tra due buchi neri sia creato da correlazioni simili all’entanglement EPR tra i microstati dei due buchi neri”. In altre parole, se un’entanglement unisce due buchi neri, essi sono necessariamente connessi da un wormhole. Molte volte in fisica si possono avere due descrizioni differenti dello stesso fenomeno, questo cambio di coordinate si chiama dualità.

Con la scoperta della dualità tra wormhole ed entanglement quantistico, l’umanità stava assistendo alla nascita della teoria della gravità quantistica. Oggi, grazie a un esperimento condotto dal team di ricerca del California Institute of Technology e guidato da Maria Spiropulu, tale teoria ha una sua evidenza sperimentale. Gli studiosi hanno creato in laboratorio un wormhole e tramite la manipolazione di qubits hanno inviato informazioni attraverso di esso.

Il risultato ottenuto dal team, conferma che gli effetti quantistici, che possiamo riprodurre e controllare in un computer quantistico, possono dare origine a un fenomeno che ci aspettiamo di vedere nella relatività: un wormhole.

La questione diventa però un po’ più complessa iniziando a parlare nel dettaglio di questo esperimento. È necessario infatti affrontare propriamente il concetto di gravità quantistica: come la esploriamo? Come ha portato a sviluppare strumenti come i computer quantistici? Cercheremo di rispondere a queste domande in un secondo articolo dedicato, pubblicato lunedì 19 dicembre.

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Tags: meccanica quantisticaponte di Einstein-Rosenrelativitàuniversowarmhole

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