Esplorazione spaziale
| On 2 anni ago

Il disastro del Mars Climate Orbiter

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Mancavano appena due settimane al giorno di Natale del 1998, quando dalla rampa 17A di Cape Canaveral la NASA lanciò la missione Mars Climate Orbiter. All’interno del fairing del razzo Delta II, costruito da McDonnel Douglas, la piccola sonda iniziò il proprio viaggio nello spazio profondo. L’obiettivo, da raggiungere nell’autunno dell’anno successivo, era l’inserimento in orbita attorno a Marte per studiarne il clima e l’atmosfera.

L’agenzia spaziale statunitense era ancora galvanizzata dal successo della missione Mars Pathfinder. Atterrata l’anno precedente sul Pianeta Rosso, stupì il mondo quando Sojourner conquistò il primato di primo rover ad operare con successo su un altro pianeta. Con queste premesse e per poter sfruttare appieno il potenziale delle future missioni, la NASA necessitava di un orbiter che, oltre alle investigazioni scientifiche, fungesse da ponte radio tra la Terra e la superficie marziana. Per questo venne concepito, progettato e lanciato il Mars Climate Orbiter.

L’architettura della sonda

Con una massa di appena 640 kg, propellente compreso, la sonda era molto compatta; per paragone, si pensi che il rover Perseverance supera la tonnellata. Montava otto thruster a idrazina, metà dei quali dedicati alle correzioni orbitali e altrettanti al mantenimento dell’assetto. Ad esso contribuivano anche le ruote di reazione all’interno del corpo principale dell’orbiter. Vi era poi il motore principale, da utilizzarsi per l’inserimento orbitale attorno a Marte.

Un singolo pannello solare, in grado di generare 500 W in orbita attorno al Pianeta Rosso, garantiva la potenza elettrica necessaria. Questa configurazione asimmetrica, alquanto insolita, si rivelò fondamentale nel segnare il destino della sonda.

Il viaggio verso Marte

I nove mesi di crociera interplanetaria trascorsero senza particolari intoppi, con la NASA che effettuò – come da previsione – quattro correzioni di traiettoria tramite i thruster. La prima ad appena dieci giorni dal lancio, l’ultima una settimana prima dell’inserzione in orbita, prevista per il 23 Settembre 1999. La quinta correzione, da effettuarsi il giorno precedente l’arrivo al Pianeta Rosso, venne cancellata in quanto ritenuta non necessaria.

Un’altra operazione estremamente importante che venne effettuata spesso – molto spesso – durante la crociera interplanetaria, prendeva il nome di Angular Momentum Desaturation, o AMD.

Come sappiamo, l’assetto della sonda era mantenuto dall’azione congiunta di alcuni thruster e delle ruote di reazione. Esse permettono di cambiare l’orientazione della sonda nello spazio grazie alla cosiddetta coppia di reazione: una variazione nella velocità di rotazione delle ruote si riflette in una rotazione opposta del corpo della sonda. Per far sì che le ruote di reazione mantenessero la loro operatività, esse andavano periodicamente desaturate. Questa operazione, nota come AMD, richiede che vengano accesi i thruster.

La particolarità del Mars Climate Orbiter era che necessitava di effettuare le AMD con una frequenza dieci volte superiore a missioni analoghe. Perché? Per via della sua particolare configurazione asimmetrica. La cosiddetta pressione solare, cioè la quantità di moto trasmessa alla sonda dai fotoni provenienti dal Sole, agiva infatti in modo asimmetrico per via del singolo pannello solare.

La sonda era quindi continuativamente soggetta ad una forza infinitesimale, che la portava fuori assetto molto più frequentemente rispetto a sonde “simmetriche”. Nessuno, purtroppo, poteva immaginare che l’orbiter stava – lentamente ma inesorabilmente – deviando dalla propria traiettoria, immettendosi su un percorso che l’avrebbe condotto a morte certa.

23 Settembre 1999, arrivo a destinazione

Il giorno dell’inserimento in orbita, il programma prevedeva che il Mars Climate Orbiter accendesse il proprio propulsore principale tra le 2.01 e le 2.17 del mattino ora della California. Per quasi l’intera durata della manovra, la sonda si sarebbe trovata dietro il Pianeta Rosso rispetto alla Terra, dunque nessuno avrebbe potuto monitorare la telemetria in tempo reale. In particolare, si prevedeva di perdere i contatti radio alle 2.05 per riprenderli alle 2.27 AM.

Il primo colpo di scena si ebbe quando la sonda entrò nell’ombra radio di Marte con 49 secondi di anticipo. Possono sembrare pochi, ma diventano un’enormità se si considera che questi corpi transitano nello spazio a velocità di svariati kilometri al secondo. Era un brutto segno: la sonda non stava seguendo la traiettoria prevista.

La conferma che qualcosa non era andato come previsto si ebbe quando, alle 2.27, le gigantesche antenne del Deep Space Network si misero in ascolto senza ricevere alcun segnale. La ricerca proseguì per giorni, ma nulla cambiò. Il Mars Climate Orbiter scomparì dietro Marte per non riapparire più.

Confronto fra l’ultima parte di orbita pianificata e quella effettivamente eseguita dal Mars Climate Orbiter.

Il motivo del fallimento

Alla perdita dei segnali dalla sonda seguì naturalmente un’analisi interna alla NASA. A premere sull’agenzia statunitense vi era anche la preoccupazione che – qualunque fosse stato il motivo del fallimento del Mars Climate Orbiter – anche il Mars Polar Lander, in quei giorni in viaggio verso Marte, ne fosse affetto.

Le indagini individuarono il problema in un particolare sistema utilizzato a Terra per ricalcolare periodicamente la traiettoria della sonda. Nel dettaglio, ogni qualvolta la sonda accendeva i propri thruster, essa inviava a Terra i dati riguardanti l’impulso totale di quella manovra. L’impulso totale è il prodotto tra la spinta applicata ed il tempo di applicazione. Tramite quel dato, la NASA era in grado di ricalcolare la posizione della sonda nello spazio e dunque la sua traiettoria rispetto all’obiettivo finale.

La Lockheed Martin, che oltre a costruire la sonda fu anche incaricata di realizzare alcuni strumenti usati dai tecnici a Terra, adottò i pound per secondo come unità di misura per l’impulso totale. Un analogo sistema della NASA, che doveva interfacciarsi con il primo, dava per scontato che il dato sull’impulso totale giungesse con unità di misura di Newton per secondo. Il fattore di scarto era pari a 4.45.

Dunque, nonostante la documentazione di riferimento richiedesse che i dati andavano scambiati in unità del Sistema Internazionale, un ingranaggio del sistema adottava ancora le US Customary Units. Questo errore si presentò ogni qualvolta la sonda dovette utilizzare i propri thruster, ovvero per le correzioni di rotta e per le AMD. E sappiamo che queste ultime, per via della particolare architettura asimmetrica della sonda, furono effettuate con una frequenza molto più elevata del normale. L’errore era comunque talmente basso da essere a malapena apprezzabile, anche dopo nove mesi di viaggio spaziale.

Il dubbio iniziò a sorgere dopo la quarta ed ultima correzione di rotta, una settimana prima dell’arrivo a destinazione, quando i tecnici calcolarono che la sonda avrebbe sorvolato Marte a 150 kilometri dalla superficie. La traiettoria pianificata prevedeva un sorvolo ad una distanza minima di 226 kilometri.

Analisi successive abbassarono questa stima a soli 57 kilometri di quota. Ben al di sotto del limite progettuale di 80 kilometri e nel cuore della sottile ma non trascurabile atmosfera marziana. Alcuni tecnici notarono queste discrepanze, ma la macchina burocratica non permise di adottare contromisure con la necessaria rapidità. Venne addirittura cancellata la quinta manovra di correzione, da effettuarsi a 24 ore dall’arrivo e che avrebbe permesso di salvare la sonda.

Le conseguenze

Con ogni probabilità, il Mars Climate Orbiter entrò nell’atmosfera marziana ad una velocità di circa 4 kilometri al secondo e venne vaporizzato dalle forze aerotermodinamiche. La NASA si addossò parte della colpa, per non aver effettuato tutti i controlli necessari a rilevare l’errore di conversione tra i due sistemi. Eppure, in missioni così complesse è insensato puntare il dito contro una sola persona o un unico dipartimento. Senza dubbio, come in altri casi, tante piccole negligenze si sono sommate per condurre ad un risultato catastrofico.

La maggior parte degli obiettivi scientifici è poi stata portata a termine da un’altra missione, il Mars Reconnaissance Orbiter, che dal Marzo 2006 continua ininterrottamente la propria missione. Come sempre nell’esplorazione spaziale – e non solo – gli errori servono per non ripeterli. Senza dubbio la NASA ed i suoi fornitori hanno imparato molto da questa sfortunata missione.

Come detto, nei giorni in cui si persero i contatti con il Mars Climate Orbiter, la NASA aveva un’altra missione in viaggio verso il Pianeta Rosso. Si trattava del Mars Polar Lander, e la preoccupazione dell’agenzia statunitense riguardava la possibilità di perdere anche questa sonda per lo stesso motivo (in quei giorni ancora sconosciuto).

Venne appurato che non vi era motivo di preoccuparsi, ed era vero, eppure il Mars Polar Lander smise d’inviare telemetria appena prima di effettuare il suo ingresso nell’atmosfera marziana, e venne dichiarato perso qualche giorno dopo. Questo però è materiale per un’altra storia.

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