Il 2020 sembra avere ancora una storia da raccontare per quanto riguarda il settore spaziale europeo. E’ una storia positiva, di netta crescita degli investimenti privati in startup europee che occupano un posto nella catena del valore spaziale. A dirlo è l’European Space Policy Insitute (ESPI) di Vienna, giunto alla terza edizione dello Space Venture Europe.
Nel Report, pubblicato a maggio ma che studia e analizza i dati relativi ai dodici mesi del 2020, si evidenziano i maggiori trend della space economy europea: primo fra tutti, c’è il volume degli investimenti registrati nel corso dell’anno. L’indicatore per eccellenza dello stato di salute del settore, per quanto riguarda le giovani aziende (che rispettano una serie di criteri stabiliti da ESPI e rispettati ormai per il terzo anno di fila, in modo da assicurare la “consistency” nell’analisi dei dati). Il risultato più importante, dunque, è il volume degli investimenti privati verso startup spaziali europee, che ha visto un incremento sostanziale rispetto agli anni passati; con il valore di 502 milioni di €, il 2020 fa registrare un dato record, in netto aumento rispetto agli anni precedenti.
A guidare il volume totale, sono stati soprattutto gli investimenti registrati dalla francese Kineis (100 M€), dalla ben nota azienda di Osservazione Terrestre finlandese Iceye (74 M€), ma anche da Isar Aerospace (75 M€), impegnata nella manifattura del piccolo lanciatore Spectrum. Il dato generale dei 502 M€ va letto anche come un risultato in controtendenza con la maggior parte dei settori economici a livello mondiale – basti pensare al settore dell’aviazione, molto vicino a quello spaziale.
Fuori dal conto le Big 4
Il risultato dunque non è assolutamente da sottovalutare. Da un lato è vero che siamo ormai abituati a cifre da capogiro nell’ambito degli investimenti in aziende spaziali, ma è anche vero che spesso queste stesse cifre – si pensi ai report sulla space economy mondiale pubblicati da BryceTech e da Space Capital – sono lo specchio della forza sul mercato di società come SpaceX, Virgin Galactic, Blue Origin e OneWeb (the Big 4). Dei pesi massimi del settore spaziale, società già ampiamente avviate e che non possono più essere considerate a tutti gli effetti delle startup.
Per questo motivo, si fa necessaria la differenza tra il NewSpace in generale, e il mondo delle startup, che potremmo considerare quindi una sotto categoria dell’insieme più grande del NewSpace. Il report di ESPI, dunque, vuole fotografare esattamente la situazione delle startup spaziali europee, senza considerare gli attori industriali più forti, che pure ci sono. Questo per non alterare troppo i risultati dell’indagine e quindi rischiare di restituire un’immagine lontana della realtà della NewSpace economy in Europa. Fare un’indagine del genere vuol dire accettare una serie di requisiti da applicare ai segmenti spaziali per individuare solo quelle società che possono effettivamente considerarsi startup, per capire lo stato di salute di un settore senza indorare troppo la pillola e comprendere di conseguenza anche dove, come e perchè intervenire per rilanciare o sostenere un settore delicato.
Un dato record, per molti motivi
Il dato record del volume degli investimenti è ancora più sorprendente perché arriva dopo 12 mesi di incertezza e volatilità nei mercati e per gli investimenti, con una crisi che ha colpito quasi simmetricamente tutti i settori economici. Sebbene le startup europee coinvolte nel sondaggio di ESPI si dicano in maggioranza colpite dalla crisi del COVID-19, e fermo restando la forza recessiva della crisi che ancora non ci siamo messi alle spalle, ciò non toglie che il settore ha attratto investimenti in cifra record, dimostrando una certa vitalità ma anche una solidità forse inattesa.
D’altronde, il 2020 è stato un anno difficile nel settore spaziale, che ha visto la bancarotta di non poche società molto ben piazzate economicamente ma che sono state costrette a ricostruire i propri debiti. Esempio massimo è stato OneWeb, abbandonata dal suo investitore più importante, il gigante giapponese SoftBank, e costretta alla bancarotta. Sappiamo com’è andata in questo caso: OneWeb è uscita dalla bancarotta più forte di prima, grazie all’intervento pubblico del governo britannico insieme agli investimenti del gigante indiano Bharti Globa, ed ora torna ad attrarre investimenti, come nel caso di Eutelsat, che a sorpresa ha investito anche’essa in OneWeb. Partecipazioni sono anche arrivate da parte dell’ex investitore SoftBank.
Il ruolo italiano in Europa
Tuttavia, se questo tipo di società hanno dovuto affrontare una crisi, l’aspettativa per i “pesci piccoli” era pessima. Ci si aspettava infatti una crisi ancora maggiore per il settore delle startup, ma in questo il risultato dello Space Ventuture Europe è sorprendente e ben augurante, sopratutto perché si evidenzia come l’anno passato non dovrebbe configurarsi come un record isolato; infatti, con l’avvio di nuove misure di investimenti e sostegno alle startup europee (si veda ad esempio l’iniziativa CASSINI), il settore presenta ancora margini di crescita interessanti e le aspettative per il 2021 sono in maggioranza rosee.
In questa prospettiva, una posizione di rilievo potrebbe assumerla l’Italia, grazie alla fondazione ed al lancio di Primo Space, il primo fondo di venture capital italiano incentrato sullo spazio, che ha ricevuto fondi da parte dell’Unione Europea e da cui ci si può aspettare nel futuro prossimo una nuova scintilla per tutto il settore, partendo dai due ultimi investimenti a cui Primo Space ha partecipato e che riguardano proprio due aziende italiane, Leaf Space e Aiko Space. Se queste sono le premesse, è giusto attendersi nuove sorprese dalla NewSpace economy europea, ed in particolare da quelle aziende molto giovani, spesso uscite dagli ESA BIC, da acceleratori nazionali, dalle università, che vogliono lanciarsi in un settore con alti rischi come quello spaziale, ma con sempre più attrattività.
Per approfondire i risultati dell’indagine del Report e del sondaggio alle startup spaziali europee, qui il link allo Space Venture Europe 2020 dell’ESPI.
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