La particolare attenzione dell’amministrazione Trump al settore spaziale è sotto gli occhi di tutti. Lo scorso 6 aprile il Presidente Donald Trump ha sottoscritto l’ordine esecutivo che in pratica sancisce l’apertura ad una nuova visione del diritto spaziale per la quale lo spazio smette di essere un bene comune. Poco più di un mese dopo la NASA ha presentato gli Accordi Artemis che secondo quanto detto da Jim Bridenstine, Amministratore della NASA, sono volti a stabilire una visione condivisa per i partner internazionali che vorranno unirsi al programma. Questo vero e proprio decalogo, riassume la chiara visione che gli Stati Uniti hanno dello spazio. Il programma Artemis si appresta a diventare uno strumento di punta della politica estera americana. Per questo abbiamo deciso di parlarne con Veronica Moronese.
Ricercatrice in diritto spaziale, mentor del network delle Nazioni Unite Space4Women e neo-mamma: questa è Veronica Moronese. Laureata in Giurisprudenza e Diritto Internazionale all’Università degli Studi di Verona; con una forte passione per lo spazio che l’ha portata a coniugare le due cose. Dopo la laurea ha iniziato a collaborare con il Center for Near Space dell’Italian Institute for the Future di Napoli in qualità di esperta di diritto dello spazio ed è entrata a far parte dello Space Generation Advisory Council, nell’ambito dello Space Law and Policy Project Group. In altre parole una space advocate.
Veronica, cosa significa per te essere una space advocate?
Uno space advocate, secondo me, è qualcuno che fa capire che i soldi investiti nello spazio non sono buttati. Già soltanto la possibilità di trasferire ai non addetti ai lavori quanto effettivamente l’attività nello spazio non solo è il nostro futuro ma ci consente anche di sviluppare tantissime potenzialità qui sulla Terra; dà modo non soltanto di cambiare l’approccio alla propria visione dello spazio, ma dà anche la possibilità alle persone di sviluppare quello che può essere un interesse o anche una prospettiva di carriera che magari non avrebbe mai immaginato senza la testimonianza di qualcun altro.
Il diritto spaziale è essenzialmente vecchio. Quali ritieni sarebbero i passi più importanti da intraprendere a livello internazionale?
In questa fase ci sarebbe assolutamente bisogno di una revisione dei trattati. Non perché i trattati siano troppo vecchi o obsoleti ma proprio perchè come ogni trattato internazionale hanno un linguaggio ambiguo.
Secondo me quello che dovrebbe fare il foro competente, e in questa materia sono le Nazioni Unite, dovrebbe essere uno sforzo di collaborazione, magari incentivandola, similmente a ciò che stanno cercando di fare gli Stati Uniti. Quindi bisogna fare molta attenzione, se le Nazioni Unite non intraprenderanno delle azioni ben mirate e concrete per dare una normativa a tutta quella serie di attività che adesso ci prepariamo a fare, ci penserà qualcun altro.
Questo è molto pericoloso, non soltanto dal punto di vista dello spazio ma dal punto di vista dell’equilibrio diplomatico nel mondo. Ci troviamo davanti ad un paese capofila, gli Stati Uniti, con un po più di possibilità economica, anche se non sufficiente alla creazione di una colonia sulla Luna in maniera autonoma, ma che si pone come referente davanti al silenzio del legislatore competente.
Recentemente Trump ha prima firmato un ordine esecutivo importante e successivamente lanciato gli Accordi Artemis. Cosa ne pensi? Quali le criticità e quali le potenzialità?
Le potenzialità sono infinite. Qualsiasi accordo che consenta la creazione di basi lunari piuttosto che di attività estrattive sarà necessario prima o poi. Che lo faccia l’ONU o gli Stati Uniti, o chi per essi, si arriverà comunque a farlo. E’ meglio che lo si faccia con la platea di personaggi e nazioni coinvolte più ampia possibile piuttosto che nascondersi dietro un dito e continuare una normazione unilaterale quando in realtà unilaterale non può essere: quindi ben venga qualsiasi tipo di accordo. L’accordo è sempre la base della cooperazione internazionale, quindi su quello io mi sento di essere molto favorevole.
Le criticità invece sui principi che sono stati espressi nell’Accordo Artemis sono molte. Ci troviamo davanti ad una proposta di accordo che vede come universalmente riconosciuta la visione americana. (e non è un sentire mio di parte, è praticamente evidente.)
Il presidente statunitense è stato molto chiaro a riguardo, l’intenzione degli Accordi Artemis è proprio di superare quelle che sono viste da anni come le criticità dell’Outer Space Treaty. Insomma, è una chiara presa di posizione, è come se gli USA volessere prendere le briglie della futura espansione umana nello spazio. Il che la farebbe diventare più un’esplorazione statunitense con supporto di partner che un’esplorazione umana. Per me questa è una grande criticità.
Ora ci troviamo davanti alla volontà USA di impedire grazie all’Accordo Artemis, che il trattato sulla Luna, a cui ancora non sono vincolati, diventi consuetudine. Nel trattato sulla Luna è chiaramente impedito che si possa giungere alla costituzione unilaterale di determinate basi. In riferimento all’istituzione delle “safety zones” che sono citate negli Accordi Artemis, ricordano moltissimo il procedimento utilizzato nel far west. Le persone che arrivavano successivamente dovevano dare la priorità per l’estrazione mineraria a chi era già presente. Praticamente un copia incolla del codice del West applicato allo spazio, giusto per capirci. Mi sembra totalmente fuori luogo replicare normative di 200 anni fa a quella che dovrebbe essere una grande opportunità per l’umanità per fare un salto in avanti per davvero.
A novembre ci saranno le elezioni negli Stati Uniti. Ritieni saranno un punto di svolta o la strada ormai è stata scelta?
Sinceramente, credo che la strada sia ormai segnata. Ci si è spinti troppo in là, sono stati coinvolti numerosi operatori privati ad altissimi livelli, adesso l’attenzione mediatica sul ritorno degli statunitensi più che degli umani sulla Luna è altissima. Il successo del lancio di SpaceX è lampante da questo punto di vista. Dopo 9 anni di dominio della Soyuz, ci troviamo davanti nuovamente un americano che può dire “io da americano posso andare sulla Luna senza necessitare del supporto dei nostri rivali storici”. Sarà molto difficile distrarre l’opinione pubblica americana da un programma così articolato e ormai così avviato. Credo quindi che si continuerà su questa linea.
Non è una linea sbagliata o giusta in toto, bisogna vedere se effettivamente le amministrazioni future aggiusteranno il tiro. Me lo auguro vivamente, in termini di rispetto dei regolamenti internazionali perlomeno. Allo stato dei fatti, gli statunitensi stanno completamente ignorando le regole internazionali. Che lo facciano per un motivo che poi può effettivamente portare beneficio non soltanto a loro ma “all’intera umanità”, questo ben venga. Ci sono dei limiti però e delle regole che vanno rispettate. Gli Stati Uniti non possono ergersi, come hanno sempre fatto nella loro storia a difensori ed esportatori della libertà quando poi in realtà si fanno beffe delle regole che loro stessi hanno contribuito a scrivere.
Qualche giorno fa è uscita su Netflix la nuova serie sulla Space Force. La creazione della U.S. Space Force ritieni sia solo il primo passo verso una militarizzazione su larga scala? Come dovrebbero rispondere le altre agenzie?
Credo che questo sia evidente. Non tanto perché la Space Force possa avere una inflessione bellicosa, poiché fondamentalmente una forza di difesa. La Space Force è stata istituita per evitare i rischi legati allo spionaggio satellitare e alla potenzialità di distruzione di satelliti, è un ambito molto delicato dal punto di vista delle relazioni internazionali. Io credo sia effettivamente difficile che le altre nazioni davanti a una azione così chiara, stiano a guardare. Credo che sia assolutamente improbabile che chi effettivamente ha la capacità economica di farlo non prenda delle contromisure.
Invece, della crescente apertura ai privati nel settore spaziale cosa ne pensi? Secondo te sta avvenendo nel modo giusto?
Prima di tutto, credo sia difficile immaginare una partnership pubblico-privato diversa da quella attualmente in atto. Fondamentalmente per lo sviluppo della space economy prima e della new space economy adesso è innegabile che l’apporto dei privati sia stato fondamentale. Lo spazio è nato come esclusivo appannaggio delle amministrazione statali, alternativamente sarebbe rimasto fisso ad attività di rilevamento sui dati terrestri piuttosto che sulla classica attività scientifica. Difficilmente ci si sarebbe spinti a prevedere la possibilità delle azioni economiche nello spazio senza il supporto di privati che possano metterci gli investimenti necessari. Le amministrazioni da sole non possono sopportare il peso né politico né economico di determinate scelte. Sembra un po uno scaricabarile, ma in realtà una condivisione delle responsabilità è fondamentale su questo punto di vista.
Credo che l’apertura della possibilità di accedere allo spazio ai privati fatta in questo modo molto concorrenziale, non sia effettivamente un male. Sprona ad avere l’idea giusta con il capitale giusto per poi competere tra aziende, come abbiamo visto anche con lo stesso programma Artemis. Facendo però molta attenzione a non creare un monopolio nello spazio. Anche qui bisogna intervenire con regole precise per evitare che quelle due o tre mega aziende impediscano a imprese più piccole di avere il proprio accesso allo spazio. Dobbiamo ricordarci che lo spazio, nonostante quello che dicono gli USA, è una cosa di tutti. Questo è un punto che nell’Accordo Artemis è molto critica. Infatti già nell’atto esecutivo del 6 di aprile scorso era stato chiarito come gli Stati uniti non vedono lo spazio come una cosa di tutti: e questo è gravissimo.
L’Europa, invece, sta giocando bene le sue carte?
Per quanto riguarda invece l’approccio che l’Europa sta avendo in questo settore: è problematico. Perchè si tratta di un atteggiamento farraginoso che ricorda anni passati quando in realtà abbiamo le potenzialità per essere protagonisti della scena dello spazio. Però si tratta di quel gioco di autorizzazioni, accordi, e passaggi burocratici che rendono complesso poter creare un programma comune. Sarebbe molto bello se ci si mettesse davvero d’impegno per trovare un programma spaziale europeo solido, non alternativo a quello statunitense, perché non ci serve essere una alternativa però necessario per essere competitivi visto che le carte in regola le abbiamo tutte. Le aziende europee sono fantastiche e anche qua in Italia abbiamo realtà meravigliose dal punto di vista dello spazio, che però si trovano imbrigliate in questo balletto di responsabilità e autorizzazioni che è alla base del funzionamento dell’ESA. Da un lato è giusto perché si tratta sempre di un accordo tra stati, dall’altro rallenta. Ci troviamo sempre un passo indietro rispetto agli altri secondo me. Ci vorrebbe maggior prontezza nel cogliere le sfide e le opportunità. Tutto quello che sta avvenendo ora nello spazio è una grandissima opportunità sia per le aziende sia per gli stati e non coglierla in questo preciso periodo storico è un grandissimo peccato.
Infine, il programma Artemis punta a portare la prima donna a metter piede sulla Luna nel 2024. Da donna e da Space Advocate delle Nazioni Unite, che impatto avrà secondo te questo evento rispetto alla disparità di genere?
Sicuramente sarebbe un gesto simbolico forte. Un messaggio che ci spinge a dimenticare “il piccolo passo dell’uomo”, l’uomo non è soltanto essere maschile ma inteso come essere umano. Io ho sempre spinto molto per l’idea degli esseri umani nello spazio quindi non uomini, non donne, oltre ogni discriminazione di genere, etnica e nazionalistica. E’ molto importante che il programma Artemis si chiami proprio così. Artemide è una dea femminile, la sorella di Apollo. Però bisogna sempre tener presente che questi atti simbolici cadono nel vuoto se non si ha alle spalle la possibilità di dare alle donne una voce nello spazio. Ci sono tantissime professioniste che potrebbero davvero dare una svolta nella storia della space economy e nella storia dell’esplorazione umana dello spazio. Spesso e volentieri si trovano un passo indietro rispetto agli uomini ingiustamente. Credo fermamente che debba andare avanti chi ha le capacità di farlo, indipendentemente dal sesso, qualsiasi discriminazione non mi appartiene. Però è innegabile che spesso e volentieri, per retaggio culturale, è più complesso. Da neo-mamma mi sono sentita dire spesso che questa non è la strada adatta a me, perchè non puoi essere mamma e professionista nello spazio nello stesso momento: è una strada complicata. Io lo faccio anche per mia figlia, voglio che lei cresca in un mondo dove può essere chi vuole. Potrà andare nello spazio o rimanere a terra e sarà soltanto una scelta sua.