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Rilevati possibili segni dell’effetto “gloria” su un lontano esopianeta ultracaldo

Mariasole Maglione di Mariasole Maglione
Aprile 5, 2024
in Agenzie Spaziali, Astronomia e astrofisica, ESA, News, Scienza
Rappresentazione artistica dell'effetto "gloria" sull'esopianeta WASP-76b. Credits: ESA

Rappresentazione artistica dell'effetto "gloria" sull'esopianeta WASP-76b. Credits: ESA

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Combinando i dati del satellite CHEOPS (CHaracterizing ExOPlanet Satellite) dell’ESA e di altri missioni ESA e NASA, sono stati rilevati per la prima volta dei possibili segni del glory effect, l’effetto “gloria”, su un pianeta al di fuori del nostro Sistema Solare: WASP-76b, un gigante gassoso ultracaldo a 637 anni luce da qui.

Questo fenomeno ottico produce anelli di luce concentrici colorati, che si verificano solo in particolari condizioni. Visto spesso sulla Terra, l’effetto è stato riscontrato solo una volta su un altro pianeta, Venere. Se confermata, questa prima “gloria” extrasolare rivelerà di più sulla natura di questo enigmatico esopianeta, e di altri simili.

Uno strano mondo infernale e un bagliore inaspettato

WASP-76b è un pianeta ultracaldo, il 10% meno massiccio di Giove ma quasi il doppio in termini di dimensioni. Si muove in un’orbita molto stretta attorno alla sua stella ospite, dodici volte più vicino di Mercurio nel Sistema Solare, ed è gonfiato dalle intense radiazioni che riceve costantemente.

Confronto tra le dimensioni di WASP-76b e dei nostri Giove e Saturno. Credits: Wikimedia Commons
Confronto tra le dimensioni di WASP-76b e dei nostri Giove e Saturno. Credits: Wikimedia Commons

Dalla sua scoperta nel 2013, WASP-76b è stato sottoposto a un attento esame ed è emerso un quadro decisamente infernale. Un lato del pianeta è sempre rivolto verso il Sole e raggiunge temperature di 2400° Celsius. Qui, gli elementi che formerebbero le rocce sulla Terra si sciolgono ed evaporano, solo per condensarsi sul lato notturno leggermente più fresco, creando nuvole di ferro che gocciolano pioggia di ferro fuso.

Tuttavia, ciò che ha stupito gli scienziati è stata un’apparente instabilità nelle regioni più esterne della sua atmosfera esterna, mentre transitava davanti alla sua stella ospite. I dati di diverse missioni dell’ESA e della NASA, tra cui TESS, Hubble e Spitzer, ne davano testimonianza. Ma è stato CHEOPS a fare la differenza.

Il satellite ESA ha monitorato intensamente WASP-76b mentre transitava di fronte e attorno alla sua stella, WASP-76, simile al Sole. Dopo 23 osservazioni nel corso di tre anni, i dati hanno mostrato un sorprendente aumento della quantità di luce proveniente dal terminatore orientale del pianeta, il confine tra il lato diurno e quello notturno. Ciò ha permesso agli scienziati di districare e limitare l’origine del segnale: un segnale debolissimo, ma che porta a ipotizzare che il bagliore inaspettato sia causato da un riflesso forte, localizzato e anisotropo: l’effetto gloria.

Cos’è l’effetto “gloria”?

Una gloria si verifica quando la luce passa attraverso un’apertura stretta, ad esempio tra le gocce d’acqua nelle nuvole o nella nebbia. Il percorso della luce viene quindi piegato (il termine corretto è diffratto), creando  anelli concentrici di colore. L’interferenza tra le onde luminose genera motivi alternati di anelli luminosi e scuri.

Si tratta di un fenomeno di rara osservabilità, anche sulla Terra. Poiché è visibile in direzione opposta a quella del Sole, si riscontra più comunemente quando si è in volo. In quel caso, la gloria circonda l’ombra proiettata dall’aeroplano sulle nuvole.

Gloria solare sopra il Canada. Credits: Wikimedia Commons
Gloria solare sopra il Canada. Credits: Wikimedia Commons

Il fenomeno è molto simile all’arcobaleno, ma non è la stessa cosa. Gli arcobaleni, infatti, si formano quando la luce solare passa attraverso un mezzo con una certa densità verso un mezzo con una densità diversa, ad esempio dall’aria all’acqua, che fa rifrangere il suo percorso. Diverse lunghezze d’onda vengono piegate in misura diversa, causando la divisione della luce bianca nei suoi vari colori e creando il familiare arco circolare dell’arcobaleno.

Finora non era mai stato visto questo effetto al di fuori del nostro Sistema Solare. Il motivo è che richiede condizioni molto particolari: sono necessarie particelle atmosferiche che siano quasi perfettamente sferiche, completamente uniformi e sufficientemente stabili da poter essere osservate per un lungo periodo. La stella vicina al pianeta deve brillare direttamente su di esso, con l’osservatore nel giusto orientamento.

Cosa significa trovarlo su un pianeta extrasolare?

La conferma dell’effetto gloria significherebbe la presenza di nubi composte da gocce d’acqua perfettamente sferiche, che durano da almeno tre anni o che si rinnovano costantemente. Affinché tali nubi persistano, anche la temperatura dell’atmosfera dovrebbe essere stabile nel tempo: una visione affascinante e dettagliata di ciò che potrebbe accadere a WASP-76b.

Essere in grado di rilevare piccole meraviglie così lontane insegnerà sicuramente a scienziati e ingegneri come rilevare altri fenomeni molto difficili da rilevare. Ad esempio, la luce solare che si riflette sui laghi e sugli oceani liquidi, requisito per l’abitabilità di un mondo lontano.

Saranno necessarie ulteriori prove per confermare definitivamente la scoperta. Ad occuparsi di queste osservazioni di follow-up potrebbe essere lo strumento NIRSpec a bordo del telescopio spaziale James Webb. Oppure l’imminente missione Ariel dell’ESA.

Lo studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, è reperibile qui.

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Tags: cheopsesopianetaglory effectpianeti extrasolari

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