Il primo volo di Starship è stato un successo o un fallimento? Forse l’unica risposta sensata che si può dare, soprattutto in questo momento, dopo pochi giorni dal lancio è: nessuno dei due. In questo approfondimento, realizzato a più mani dalla redazione di Astrospace.it, cercheremo di capire perché.
È disponibile anche una versione video di questa analisi, che potete trovare direttamente cliccando qui:
Sono principalmente cinque i macroparametri, così possiamo definirli, che abbiamo definito per caratterizzare la quantità di successo che si poteva ottenere da questo volo di test. Sono parametri non ufficiali, individuati da noi.
- La reazione, o meglio, la sopravvivenza dello Stage Zero, cioè di tutti gli elementi a Terra che formavano la rampa di lancio, la Mechazilla, la Tank Farm e i sistemi di stoccaggio del propellente e rifornimento di Starship.
- I 33 motori Raptor alla base del Super Heavy. Mai erano stati accesi 33 motori in contemporanea, mai per così tanto tempo e mai questi Raptor.
- Il superamento del Max Q, il punto di massima pressione aerodinamica, cioè la zona dove velocità e densità dell’aria sono tali da provocare il massimo stress strutturale sul razzo.
- Lo staging dei due stadi e l’accensione della Ship
- Il rientro della Ship e la riaccensione del Booster.
Di questi cinque parametri, nessuno di essi può considerarsi pienamente raggiunto al 100%, eppure, ancora non si può affermare che il primo lancio di Starship sia stato un fallimento. Analizziamo ora più nel dettaglio cosa è successo durante il volo, evidenziando il comportamento di Starship all’interno di questi cinque parametri.
Durata del volo: 3 minuti e 59 secondi.
Quota massima: 39 km.
1. Lo Stage Zero
Starship si è accasa correttamente, sollevandosi dal pad e questo è già stato un primo obbiettivo raggiunto, la sopravvivenza della rampa di lancio. Il rischio che esplodesse l’intero primo stadio al momento della partenza era comunque presente, e questo avrebbe distrutto completamente il pad e Mechazilla, due elementi chiave per il futuro dei lanci da Starbase. Quello però che è stato subito chiaro dopo la partenza, dalle prime foto e analisi indipendenti che sono state realizzate, è che la sopravvivenza del sito di lancio è costata un caro prezzo.
Quello che è già chiaro è che l’OLM, il pad di lancio, è stato danneggiato, soprattutto il suo basamento, che praticamente non esiste più. Intere zone di cemento in vicinanza del pad sono state sollevate, esponendo la terra sottostante. Dei serbatoi di ossigeno sono stati danneggiati e uno di essi è stato anche bucato.
La rampa è quindi sopravvissuta, ma pesanti modifiche al design del sito di lancio dovranno per forza essere fatte da SpaceX. Elon Musk su Twitter ha confermato che non si aspettavano così tanti danni, e questa è una informazione importante, un primo “errore”, anche se non critico, del design di Starbase.
Sempre Musk ha confermato che in 1/2 mesi torneranno al volo, e che un altro pad di lancio è già pronto, diverso e con più elementi di protezione. Forse 2 mesi sono un tempo irrealistico, ma allo stato attuale non si possono fare vere supposizioni su quando un’altra Starship volerà.
2. I 33 motori Raptor
I motori si sono accesi correttamente, anche se non tutti. Da un video condiviso da SpaceX, ripreso da una telecamera posizionata in cima alla torre, si può vedere il decollo del vettore ripreso dal basso. Prima che la camera fosse coperta dalla polvere, si nota che subito dopo il decollo il Super Heavy aveva già due Raptor in meno. Uno facente parte dell’anello esterno, e uno del gruppo centrale di tre Raptor.
La grafica ufficiale di SpaceX, che mostrava i motori attivi e quelli spenti, è comparsa dopo 16 secondi dal decollo e mostrava tre Raptor spenti. Da una ripresa amatoriale si può notare una grossa fiammata proveniente dai motori proprio mentre il vettore stava superando l’altezza della torre. Per i 20 secondi successivi, il Super Heavy ha viaggiato utilizzando 30 Raptor che, stando a quanto ha affermato Musk, erogavano il 90% della spinta.
SpaceX era a conoscenza dei limiti strutturali del Booster 7 e dei suoi punti deboli. Uno di questo era rappresentato dalle protezioni installate tra i vari motori. Le protezione dei Raptor che abbiamo visto sul Booster 7 erano una versione modificata di quelle progettate per il Booster 9. Si trattava quindi di una componente sviluppata per un prototipo nuovo e riadattata per funzionare su uno vecchio.
Grazie a una ripresa in alta definizione di Everyday Astronaut, è possibile notare come proprio una di queste protezioni dei motori esterni si danneggi durante il volo. È possibile che ciò sia accaduto anche per qualche motore interno.
This is not a render. This is not a simulation. This is @SpaceX’s first integrated test flight of #Starship with the Super Heavy booster, the world’s largest and most powerful rocket to ever fly. This #slomo is from our 8k tracker shot by @considercosmos. pic.twitter.com/srxmuStn2N
— Everyday Astronaut (@Erdayastronaut) April 21, 2023
Al termine del volo cinque non funzionavano più, anche se dalle immagini sembra che fino a 8 abbiano avuto problemi. Su 33 motori, che 8 non funzionino non è certo un’ottima notizia, ma questo ha permesso a SpaceX di capire come si sono comportati gli altri, mentre tentavano di mantenere la spinta e l’assetto.
Il problema della HPU
Dopo circa 30 secondi dal decollo è avvenuto un altro e importante problema, che potrebbe averne causati molti altri a catena. È infatti esplosa una delle due Hydraulic Power Unit (HPU), la centralina idraulica per la gestione dei movimenti dei 13 Raptor centrali. Ricordiamo infatti che sono questi gli unici a poter direzionare la spinta, mentre gli altri, quelli dell’anello esterno, sono fissi.
L’esplosione della HPU potrebbe aver provocato dei problemi al controllo dell’assetto. A seguito di questa esplosione si sono notate diverse fiammate provenienti proprio da un lato del Super Heavy, probabilmente dovute ai fluidi che stavano bruciando. Pochi istanti dopo, il Booster 7 ha perso un altro Raptor, che si trovava proprio vicino all’HPU esplosa. È possibile quindi che l’esplosione si sia propagata anche verso l’interno, danneggiando il corpo del motore.
Dopo circa un minuto di volo è diventato difficile osservare quanti motori fossero effettivamente funzionanti, e la grafica ufficiale non ha aiutato. Ad un certo punto infatti, questa riportava che sei Raptor erano spenti, ma poi uno dell’anello esterno sembrava essersi riacceso. Ciò è impossibile, in quanto i motori esterni hanno bisogno di un sistema esterno e che si trova sull’OLM per l’avviamento. È possibile che prima del lancio SpaceX fosse a conoscenza di possibili problemi legati all’HPU, una componente che sarà completamente eliminata e sostituita da degli attuatori elettromeccanici già nel Booster 9.
Durante il volo, il Super Heavy deve compiere diverse manovre, eseguite con l’utilizzo dei Raptor. Una di questa, la più importante, serve a mettere in rotazione l’intero vettore per sganciare e far allontanare la Starship per inerzia. È possibile che nelle ultime fasi di volo prima dell’esplosione, il Booster 7 abbia iniziato a compiere questa rotazione ma, probabilmente a causa di altri danni, la Starship non si è sganciata. Insieme ai problemi di manovrabilità, questo ha portato il vettore a volare in maniera incontrollata, costringendo SpaceX ad attivare il Flight Termination System.
3- Il superamento del MaxQ
Che Starship non abbia avuto le prestazioni di velocità richieste, ormai è chiaro. Il punto di massimo stress aerodinamico è stato però superato, senza che il razzo si distruggesse completamente. Questo forse è stato il più grande risultato del test, ma allo stesso tempo rimane complesso da valutare. Il volo infatti non ha avuto un profilo tipico e quindi non rappresenterà di certo una copia di missioni operative reali.

Il MaxQ infatti, non è un punto fisso, e può essere superato a quote e velocità diverse. In questo caso, è stato raggiunto, in base alle informazioni e al commento della diretta di SpaceX, circa 30 secondi dopo il previsto, a quella che era una velocità circa 200 km/h più bassa di quanto annunciato. Questi sono valori che si basano su quanto visto durante la diretta, e andranno confermati.
4- La separazione fra i due stadi
Lo staging dei due stadi semplicemente non è avvenuto. Da un lato è stato sorprendente notare come durante la discesa incontrollata prima dell’accensione del FTS, i due stadi siano riusciti a rimanere agganciati, senza separarsi o distruggersi. Un grande esempio della qualità costruttiva di SpaceX, probabilmente.
Il fatto però che non si siano separati quando avrebbero dovuto, è infatti un argomento di discussione piuttosto ampio. Come abbiamo già detto prima, le prestazioni di velocità e quota di Starship non erano nominali, e la separazione degli stadi potrebbe essere dovuta ad un problema ai motori, come scritto poco sopra, potrebbe non essere stata comandata da SpaceX per ragioni di sicurezza, o potrebbe anche non essere avvenuta per un problema al sistema di separazione. Dovremo aspettare per capire qual è il vero motivo.
In questa gif vediamo l’interno della zona sottostante la Ship, dove avviene la separazione fra gli stadi. Si può vedere come nell’immagine senza il countdown in basso, il Super Heavy sia più schiacciato verso la Ship.
5. Il rientro della Ship 24 e del Booster 7
Il rientro della Ship e del booster non è avvenuto, e quindi non è possibile giudicare questi due elementi, in compenso, il flight termination system ha fatto il suo dovere, dopo che SpaceX lo ha attivato, il sistema ha distrutto la Starship, evitando che cadesse in modo incontrollato e facesse danni in zone non previste.
Quindi, un successo o un fallimento?
Abbiamo visto velocemente cosa è successo giovedì 20 aprile in quattro minuti di volo, e l’impressione, da questa analisi, è che il volo sia stato più un fallimento che un successo. Ma è qui però che possiamo e dobbiamo cambiare il nostro punto di vista.
Questo volo, nonostante le analisi, le affermazioni e le opinioni di molti (Musk compreso) aveva un solo parametro di successo: arrivare alle Hawaii. Non aveva parametri di fallimento. Si tratta di un approccio completamente opposto a quello classico dei lanci spaziali, perchè con SpaceX e con Starship soprattutto, ci confonde il fare paragoni (ci riferiamo ovviamente al contesto ingegneristico).
Il lancio inaugurale di un nuovo vettore spaziale, cioè un lancio durante il quale già sono presenti dei carichi utili a bordo, si può definire un successo quando il carico utili è immesso in orbita, e un fallimento qualsiasi cosa di anomalo succeda prima, che non permetta il raggiungimento dello spazio al payload. Certo, anche dai fallimenti si impara, ed è questo che hanno fatto aziende e agenzie per oltre 60 anni quando fallivano dei lanci inaugurali. E ne sono falliti tanti.
Per Starship però, quello del 20 aprile NON era un lancio inaugurale. Si trattava di un altro test come quelli effettuati alle Ship nel 2021, solamente un test ben più complesso e articolato. Non aver raggiunto l’elemento di successo, cioè il completamento del volo, non vuol dire aver fallito, perchè semplicemente un vero e proprio fallimento non c’era.
Il test del 20 aprile quindi, poteva sicuramente andare meglio. Come abbiamo visto, sono molti gli elementi da correggere, e per questo forse non vedremo un altro test in volo di Starship neanche nel 2023. Ma affermare che sia stato un fallimento, è semplicemente sbagliato.
Il contesto politico dei voli di test di Starship
Spesso si pensa alle attività di SpaceX, più in generale di Elon Musk, come ad una sorta di ripetitivo “capriccio” guidato dalla noia di un personaggio apparentemente creativo, e per questo sempre in cerca di alti e nuovi stimoli per soddisfare tale creatività. In parte vero. In gran parte no. Le attività di SpaceX non sono -e non lo saranno- indipendenti, o in qualche modo anche solo “scollegate”, da quelli che sono gli obiettivi strategici spaziali identificati inizialmente dall’Amministrazione Trump. Obiettivi che oggi sono proseguiti, in eredità, dall’amministrazione Biden.
L’unica cosa certa è che Musk può progettare, immaginare, fantasticare ciò che vuole per perseguirli. Resta il fatto che la matita ed il foglio sul quale lo farà sono di proprietà del Governo degli Stati Uniti. Anche se sembrano passati “decenni”, è importante ricordare come tutto abbia avuto inizio l’11 dicembre del 2017, con l’emanazione della Space Policy Directive 1, meglio nota come: “Reinvigorating America’s Human Space Exploration Program”.
Il Governo americano, insieme ai partner commerciali aderenti e sottoposti alla sua esclusiva guida, si impegnavano in un programma innovativo e sostenibile non solo per guidare il ritorno degli esseri umani sul suolo lunare ma anche e soprattutto di “guidare l’esplorazione e l’utilizzo delle risorse lunari a lungo termine”. Questa era la genesi del programma Artemis, seguita dagli Artemis Accords: le sue “regole di ingaggio”.
Cosa c’entra Starship di SpaceX in tutto questo? Nel 2021, l’appena insediata amministrazione Biden confermava il budget 2022 di $850 milioni di dollari per il programma “Human Landing System” (HLS). Sostegno cresciuto a 1.5 miliardi di dollari per il 2023. L’Opzione A di Space X, una versione adattata per la Luna di Starship, fu proprio la soluzione vincitrice del programma HLS.

Il decollo di qualifica di Starship, il primo volo di test del 20 aprile, non rappresentava quindi solo una sfida tecnologica. Esso era un vero e proprio test che avrebbe dato, agli occhi del mondo (soprattutto della Cina), la misura delle reali capacità statunitensi di tornare sulla Luna.
L’Opzione-A di Elon Musk, la HLS-Starship non dovrà solo essere capace di elevarsi da Terra, ma dovrà affrontare diverse fasi nel suo viaggio verso la Luna. Dovrà infatti essere in grado di eseguire almeno tre altre manovre critiche: l’inserimento in una traiettoria di trasferimento Terra-Luna, la “frenata” per farsi poi catturare dal campo gravitazione lunare e infine, dall’orbita “di parcheggio” attorno alla Luna, eseguire l’ulteriore critica manovra di discesa verso il suolo lunare a motori sempre accessi, assicurando un atterraggio non distruttivo. A questo si aggiunge tutto il processo di trasferimento del propellente in orbita, ancora una grande incognita dell’intero progetto.
Sbagliare o peggio ancora mancare anche solo una di queste tre, significa perdere la missione. Starship ha quindi ancora tanto da dimostrare e dopo questo volo, nonostante tutto, la Luna per gli Stati Uniti è ancora lontana, anche se un po’ più vicina di prima.
Questo approfondimento è stato realizzato da Stefano Piccin, Andrea D’Urso, Andrea D’Ottavio, Damiano Faro, Nicolò Bagno.
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