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| On 1 mese ago

Una nuova mappa 3D rivela nel dettaglio la distribuzione della polvere nella Via Lattea

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La polvere interstellare, costituita da minuscole particelle solide sospese nello spazio, gioca un ruolo importante in astronomia. Può assorbire e diffondere la luce delle stelle, rendendo gli oggetti celesti più deboli e alterandone il colore apparente. Questo fenomeno, noto come estinzione e arrossamento (reddening, in inglese), rappresenta una sfida significativa per gli astronomi che cercano di osservare e comprendere l’Universo.

Di recente, un team di astronomi del Max Planck Institute for Astronomy (MPIA) ha compiuto un passo avanti significativo, creando una mappa tridimensionale dettagliata delle proprietà della polvere nella nostra Galassia, la Via Lattea.

Questa mappa offre una vista senza precedenti sulla distribuzione e sulle caratteristiche della polvere cosmica, fornendo agli scienziati uno strumento fondamentale per correggere le distorsioni causate dalla polvere nelle osservazioni astronomiche.

Una mappa 3D della polvere cosmica

La realizzazione di questa mappa è stata possibile grazie all’analisi di 130 milioni di spettri forniti dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dai dati del sondaggio spettrale LAMOST.

Utilizzando tecniche avanzate di apprendimento automatico, i ricercatori hanno potuto elaborare questa enorme quantità di dati per ricostruire la distribuzione tridimensionale della polvere nella Via Lattea. La mappa risultante copre una distanza fino a 8000 anni luce dal Sole, offrendo dettagli senza precedenti sulla struttura del mezzo interstellare.

Mappa che mostra la “curva di estinzione”) causata dalla polvere, per il piano del disco della nostra Galassia, a una distanza di 8000 anni luce dal Sole. Il rosso indica le regioni in cui l’estinzione cade più rapidamente alle lunghe lunghezze d’onda (l’estremità rossa dello spettro), mentre il blu indica che l’estinzione è meno dipendente dalla lunghezza d’onda. Le regioni con dati insufficienti sono mostrate in bianco. I contorni grigi racchiudono regioni ad alta densità di polvere. Credits: X. Zhang/G. Green, MPIA

Uno degli aspetti più innovativi di questa mappa è la sua capacità di rappresentare come l’estinzione della luce stellare varia con la lunghezza d’onda, fenomeno noto come curva di estinzione. Questa caratteristica permette agli astronomi di comprendere meglio come la polvere influisce sulle osservazioni a diverse lunghezze d’onda, facilitando correzioni più accurate nelle misurazioni astronomiche.

Inoltre, la mappa rivela variazioni regionali nelle proprietà della polvere, suggerendo che la composizione e le dimensioni delle particelle di polvere possono variare significativamente in diverse parti della galassia.

La natura variabile della polvere interstellare

Le scoperte derivanti da questa mappa hanno implicazioni profonde per la nostra comprensione della polvere interstellare e del mezzo interstellare in generale. Le variazioni osservate nella curva di estinzione indicano che le proprietà della polvere non sono uniformi in tutta la galassia.

Questa diversità potrebbe essere attribuita a diversi fattori, tra cui l’influenza delle supernove, i venti stellari e i processi di formazione stellare, che possono modificare la composizione e la distribuzione della polvere nel tempo. Comprendere queste variazioni è essenziale per interpretare correttamente le osservazioni astronomiche e per costruire modelli accurati dell’evoluzione galattica.

Inoltre, la mappa fornisce una risorsa preziosa per future ricerche sulla formazione stellare. La polvere interstellare è un componente chiave delle nubi molecolari dove nascono le stelle. Conoscere la distribuzione e le proprietà della polvere in queste regioni può aiutare gli scienziati a comprendere meglio i processi che portano alla formazione di nuove stelle e sistemi planetari.

La mappa potrebbe anche contribuire a identificare aree della galassia particolarmente attive nella formazione stellare o, al contrario, regioni dove tali processi sono inattivi.

L’abstract dello studio, pubblicato su Science, è reperibile qui.

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