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| On 10 mesi ago

La storia (e risoluzione) del problema al dispiegamento del radar RIME di JUICE

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Alle 14:19 italiane del 14 aprile, pochi minuti dopo il lancio avvenuto dalla Guyana francese su un Ariane V, la sonda europea JUpiter Icy moons Explorer (JUICE) ha scattato una fotografia con la sua Juice Monitoring Camera 2 (JMC2). La JMC2 si trova sulla parte superiore del veicolo, e serviva a monitorare il dispiegamento in più fasi dell’antenna Radar for Icy Moons Exploration (RIME), lunga 16 metri, uno dei componenti più importanti della missione.

La fotografia (che vediamo in copertina), leggermente rielaborata per un aggiustamento del colore, mostrava l’antenna correttamente ripiegata su se stessa, perché troppo lunga per entrare nel cono dell’Ariane V. Per questo motivo, RIME è stata costruita in due bracci di quattro segmenti ciascuno, tali per cui tre dovevano dispiegarsi su un lato della sonda, tre sull’altro, e i rimanenti due sarebbero rimasti fissi su JUICE. Proprio contro il segmento fisso erano ripiegati i segmenti mobili, bloccati da due staffe.

Una volta nello spazio, i dispositivi chiamati attuatori non esplosivi (NEA, Non-Explosive Actuators) sarebbero stati attivati ​​a distanza uno dopo l’altro dal Centro europeo per le operazioni spaziali (ESOC) di Darmstadt. Ogni NEA doveva rimuovere un perno di fissaggio dalla sua staffa, consentendo a quella sezione di scattare in posizione.

Ed è qui che sono iniziati i problemi nel dispiegamento, che hanno portato a settimane di estenuanti tentativi per non perdere uno degli strumenti di maggior rilievo di JUICE. RIME, infatti, è stato sviluppato per penetrare il ghiaccio delle lune gioviane ed essere utilizzato per sondare a distanza la struttura del loro sottosuolo. E solo alle 14:00 italiane del 12 maggio gli scienziati hanno avuto conferma di esser riusciti a risolvere il problema.

L’inizio del dispiegamento

La procedura di dispiegamento dei segmenti mobili di RIME è iniziata il 17 aprile 2023, tre giorni dopo il lancio. Fino ad allora, tutto era andato liscio per la missione. Due telecamere di monitoraggio seguivano il dispiegamento RIME.

Le prime fotografie scaricate hanno mostrato il corretto dispiegamento del primo segmento mobile dell’antenna, confermato anche dai dati di telemetria. Come previsto, la sonda stava oscillando a causa del colpo generato dal NEA, movimento subito corretti dall’Attitude and Orbit Control System (AOCS) come da manuale.

L’animazione mostra il corretto dispiegamento del primo segmento mobile di RIME. Credits: ESA/JUICE/JMC

A questo punto, toccava al secondo segmento. Poco dopo aver dato il comando che azionava il NEA di riferimento, sono arrivati i dati di telemetria, ma qualcosa non andava. L’oscillazione prevista non si stava mostrando. Pochi secondi dopo, sono arrivate le immagini delle camere di monitoraggio: mostravano il segmento da dispiegare ancora ripiegato, in configurazione stivata. Anche riattivando l’attuatore, il braccio non dava segni di volersi muovere dalla staffa.

Tentativo uno: illuminare RIME

Era necessario trovare un modo per liberare il segmento bloccato. Tuttavia, doveva essere tale da non compromettere il dispiegamento degli altri segmenti, o addirittura le operazioni del resto della sonda.

La prima ipotesi dei diversi team, riunitesi per discutere il da farsi, è stata che forse si era formato del ghiaccio sul perno che teneva in posizione il segmento. Un’eventualità di questo tipo non è rara nelle missioni spaziali. Avviene quando, a causa dell’improvvisa perdita di pressione dell’aria dovuta all’ambiente freddo dello spazio, una piccola quantità di vapore acqueo fuoriesce improvvisamente dal materiale utilizzato per realizzare il veicolo spaziale. Questo può quindi congelarsi sulle superfici freddissime del veicolo spaziale.

Non essendoci fondi di calore vicine a RIME, in quel punto iniziale della sua crociera verso il sistema gioviano, rimuovere il ghiaccio avrebbe significato ruotare la navicella in modo che l’antenna fosse rivolta verso il Sole. Ma la superficie della sonda che sorreggeva RIME non era mai stata pensata per essere esposta alla luce solare diretta subito dopo il lancio. Né lo erano i componenti, gli strumenti e tutti i sistemi collegati.

Si è deciso quindi di ruotare gradualmente JUICE, in modo da illuminarne la superficie. La sonda ha ruotato otto volte in due settimane, con un’esposizione ogni volta più lunga, mentre i tecnici monitoravano attentamente la telemetria dai sensori di bordo per non eccedere nei limiti dell’esposizione al calore del Sole. All’inizio la manovra è durata appena 25 minuti, per arrivare infine a un’esposizione di 73 minuti.

Tentativo due: scuotere la sonda

E se non fosse stato il ghiaccio a fermare la staffa? Se il perno si fosse semplicemente incastrato? Certo, anche questo era uno scenario plausibile. In quel caso, un modo per liberare il segmento bloccato sarebbe stato scuotere l’intera sonda. O meglio, farla oscillare avanti e indietro in modo da spostare di qualche millimetro il perno incriminato.

Era però necessaria un’attenzione decisamente alta, per non rischiare di danneggiare altre componendi di JUICE con una scossa troppo violenta. Con cautela, i team hanno effettuato accensioni consecutive dei propulsori, utilizzando il motore principale. I propulsori sono stati anche azionati in una certa sequenza, ma si sono ottenuti solo piccoli movimenti all’interno della staffa bloccata.

Nelle prime due immagini dell’animazione seguente, RIME si muove quando viene rilasciato il blocco che tiene ferme le due metà dell’antenna durante il lancio e deve essere rilasciato prima del dispiegamento. Nella terza immagine della sequenza, il segmento superiore si è correttamente dispiegato, ruotando di 180 gradi. La quarta immagine mostra il momento in cui i team hanno tentato di dispiegare il secondo e il terzo segmento.

Sequenza di dispiegamento dei segmenti di RIME. Credits: ESA/JUICE/JMC

Un altro piano di recupero

La società tedesca SpaceTech, produttore dell’antenna, nel frattempo aveva avanzato un piano di recupero. Suggeriva di continuare il dispiegamento degli altri segmenti di RIME, come se non fosse accaduto nulla, così da sfruttare i piccoli shock meccanici prodotti dai successivi NEA per scuotere leggermente il perno bloccato.

Gli ingegneri di SpaceTech sono riusciti a riprodurre l’anomalia con un modello dell’antenna, utilizzato durante i test, e hanno confermato che l’attivazione del NEA più vicino poteva potenzialmente sbloccare la staffa incastrata. E per aumentare le possibilità di un esito positivo, l’antenna avrebbe dovuto essere riscaldata dall’esposizione alla luce solare, in modo tale da avvicinarla il più possibile alla “temperatura ambiente”, dove il modello aveva dimostrato che la procedura di recupero poteva funzionare.

C’era però un problema. Andando avanti con la sequenza di schieramento nominale dei successivi segmenti di RIME, c’era la possibilità che due di essi potessero entrare in collisione, a causa del dispiegamento in direzioni opposte e a quel segmento ancora ripiegato. I team hanno quindi deciso di ri-ordinare la sequenza di distribuzione, e iniziare i tentativi di recupero.

Segmento dispiegato! Ma non era tutto risolto

Innanzitutto, JUICE è stata riscaldata, ma l’antenna è rimasta fissa. In questo modo, il calore ha raggiunto i diversi attuatori. Poi è stato attivato il NEA situato nella staffa inceppata, che ha provocato una scossa sufficiente a spostare il perno incastrato di pochi millimetri. E ha finalmente consentito il dispiegamento del segmento bloccato, confermato dalle immagini delle camere di monitoraggio.

A più di tre settimane dall’inizio dei tentativi, il braccio incriminato era finalmente uscito dalla sua staffa di montaggio, permettendo lo schieramento completo dei primi tre segmenti.

Dispiegamento dei primi tre segmenti dell’antenna RIME, dopo un problema al dispiegamento del secondo segmento. Credits: ESA/JUICE/JMC

Il lavoro, però, non era ancora finito: JUICE era solo a metà dell’intera procedura di dispiegamento della sua antenna. Un altro NEA doveva ancora essere attivato, prima che RIME potesse assumere la sua configurazione operativa finale. E se si fosse incastrato anche l’altro perno, o inceppato l’attuatore? Non erano rimasti altri tentativi, non c’erano altri NEA da attivare.

Di conseguenza, la squadra ha preso un’ultima precauzione. Dopo aver lasciato la sonda esposta alla luce solare per il tempo massimo consentito di 73 minuti, il team ha allontanato l’antenna dal Sole, e atteso circa quattro ore perché la sua temperatura scendesse. Al termine dell’attesa, è stato dato il comando di attivazione del NEA.

La telemetria ha mostrato JUICE che oscillava, come previsto, mentre il segmento finale si dispiegava. L’AOCS si è inserito e ha stabilizzato la sonda e, alla fine, le camere di monitoraggio hanno confermato la vittoria, mostrando RIME nella sua configurazione completamente schierata.

L’importanza di RIME

RIME, parte della suite di 10 strumenti scientifici all’avanguardia a bordo di JUICE, sarebbe stato una grande perdita per la missione, se qualcosa fosse andato storto nelle procedure di recupero. Progettata per sondare a distanza il sottosuolo delle lune ghiacciate di Giove, i segnali radar di questa antenna penetreranno fino a una profondità di 9 km, rivelando dettagli di diametro compreso tra 50 e 140 metri.

Il radar, quindi, potrà fornire informazioni preziose sulla composizione e sulla geologia delle lune Ganimede, Europa e Callisto, fornendo dati unici per la comprensione dell’abitabilità di questi corpi ghiacciati. “Sapevamo che, nonostante il RIME fosse uno strumento su dieci, la mancata apertura completa dell’antenna avrebbe degradato le prestazioni scientifiche della missione” ha affermato Giuseppe Sarri, Project Manager di JUICE.

In effetti, la possibilità di apprendere cosa su trova sotto le superfici ghiacciate delle lune galileiane avrebbe potuto essere notevolmente ridotta o addirittura persa. Per fortuna, però, le squadre che hanno lavorato alla risoluzione del problema e che non hanno mai smesso di cercare nuovi tentativi per venirne a capo, alla fine sono riuscite nel loro intento.

Ora, i team dell’ESA, Airbus e SpaceTech, stanno concludendo la loro comprensione della causa originale dell’errore al perno di RIME, in modo che possa essere evitata in futuro su sistemi simili. E la missione JUICE, intanto, procede nella sua crociera spaziale, che tra otto anni la porterà a orbitare attorno a Giove.

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