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Dalle montagne kirghize, le ragazze irriducibili che sognano lo spazio

Mattia Simeoni di Mattia Simeoni
Ottobre 8, 2021
in Approfondimento, Esplorazione spaziale, News, Space economy
Credits Tatiana zelenskaia - kloop

Credits Tatiana zelenskaia - kloop

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Nell’estate del 2018, diversi media internazionali, come Bbc e Reuters, hanno dato risalto a un gruppo di sole ragazze che, in Kirghizistan, si era formato con l’obiettivo di costruire il primo satellite nazionale. Un’iniziativa ancor più degna di nota in un paese dall’impronta patriarcale in cui le ragazze hanno un accesso estremamente limitato all’istruzione e al lavoro qualificato. Lo scopo era proprio quello: mostrar loro cosa possono riuscire a fare se coltivano le proprie capacità. Ma il programma è, allo stesso tempo, un esempio di come oggi possa avviarsi l’attività spaziale in una realtà periferica, e di come il fascino dello spazio possa esercitare un traino per l’intero settore scientifico. A distanza di tre anni siamo andati a vedere come procede il loro lavoro.

Gli inizi: la collaborazione con la NASA

A parlarcene è Kyzzhibek Batyrkanova, la project director, una delle otto ragazze del primo gruppo formatosi grazie all’iniziativa di Kloop (un gruppo Media locale) e all’appoggio indiretto della NASA nella persona di Alex Mc Donald. Ragazze per cui il compito risultava del tutto nuovo e per le quali questa collaborazione è risultata dunque di vitale importanza: “Ci hanno fornito diversi contatti di esperti del settore aerospaziale privato, ma soprattutto ci hanno indicato una via. La principale difficoltà era proprio sapere cosa fare, stabilire una road map.

Kyzzhibek (sulla destra) discute del progetto con le sue colleghe Aidana Aidarbekova (al centro) e Aizada Karataeva.
Kyzzhibek (sulla destra) discute del progetto con le sue colleghe Aidana Aidarbekova (al centro) e Aizada Karataeva.

Ci abbiamo impiegato almeno nove mesi!”, ci spiega Kyzzhibek. Molte agenzie spaziali di primo livello stanno oggi inserendo nei loro piani queste collaborazioni e, alla domanda su quale possa essere l’interesse della Nasa in questa, ci dice: “Quello spaziale è un contesto in cui le partnership, nazionali e internazionali, sono spesso necessarie e quindi le persone del settore sono tutte molto predisposte alla collaborazione. Noi facevamo parte dell’URSS, ma c’è meno rivalità rispetto al passato.”. Aggiungiamo noi che questo tipo di accordi rientra in una logica di fidelizzazione di eventuali clienti futuri o di consolidamento di relazioni per reciproci interessi geopolitici (non a caso, l’Italia ha un’intesa con il Kenya, con cui vanta una collaborazione decennale e il cui suolo ospita l’italiano “Luigi Broglio Space Center”).

Quando le chiediamo se è soddisfatta della collaborazione e se poteva essere migliore, entra più nel dettaglio: “È preziosa, ma forse sarebbe stata più proficua se più strutturata. Noi siamo privati e non un’istituzione, non è un accordo ufficiale. Abbiamo diversi contatti con persone esperte, per lo più di aziende private americane con cui ci interfacciamo, ma sempre su un piano personale. È un po’ come prendere un pezzo qua e un pezzo là e poi dover fare lo sforzo di mettere tutto insieme. È la stessa cosa che facciamo anche localmente, dove le competenze ingegneristiche non sono così comuni. Del resto – ci ricorda – la nostra iniziativa non è una novità solo per noi, ma per tutto il paese”.

Costruire un cubesat in un paese in via di sviluppo

Il Kirghizistan è prettamente rurale e montuoso, poggia la sua economia sull’agricoltura e sul redditizio settore minerario e, aldilà dell’aspetto femminile (nel paese, nel settore STEM (science, technology, engineering, maths) le donne sono meno del 10%), sono in generale le professioni scientifiche a non essere particolarmente diffuse. E così, quasi tutti quelli che vogliono intraprendere questa via finiscono per rivolgersi all’estero. Anche loro si sono avvalse di qualche rientro, come quello di Aidana Aidarbekova, unitasi al programma dopo aver studiato a Hong Kong. Rientri preziosi proprio per via delle competenze tecniche maturate all’estero.

Un prototipo del cubesat. Credit reporters.media
Un prototipo del cubesat. Credit reporters.media

Per il satellite, le ragazze si stanno destreggiando tra stampa 3d, programmazione schede e integrazione hardware. È un cubesat, quindi particolarmente piccolo, di quelli con cui molti paesi iniziano la propria avventura spaziale. Sarà dotato di un set di sensori, anche se i costi aggiuntivi di licenza hanno fatto per il momento rinunciare alla possibilità di avere una camera. Con questa, si potevano magari scattare delle foto alle bellissime montagne del Kirghizistan.

Il Covid ha avuto un impatto anche in Kirghizistan. Si sono dovute riorganizzare da casa, e per alcune attività, come quelle di laboratorio, è stato penalizzante. Inevitabilmente, ci dice, hanno perso molti mesi. Per ultimare i lavori sperano possano bastarne altri 18, ma dipenderà anche dai fondi: “Abbiamo scoperto quanto sono costosi gli sviluppi aerospaziali!”, ci racconta ridendo. Al momento, oltre al contributo di Kloop, l’altra fonte di sussistenza è il crowfunding, assieme a un progetto Patreon.

Un esempio per le donne, una spinta per il paese

Alla domanda sul perché il Kirghizistan dovrebbe interessarsi al satellite o alle attività spaziali, ammette implicitamente che il paese possa avere adesso altre priorità e che tali attività possano risultare, se vogliamo, in parte premature. Tuttavia, il modello che il progetto sta proponendo in termini di apertura a cooperazioni internazionali e sviluppo di competenze rimane, e lo spazio è stato non uno fra i tanti, ma la prima scelta di Kloop in tal senso, proprio per la sua natura di essere, da sempre, sinonimo di difficoltà.

Il team quasi al completo durante una delle sessioni di training di laboratorio in Kirghizistan. Credits: Kyrgyz space program
Il team quasi al completo durante una delle sessioni di training di laboratorio. Credits: Kyrgyz space program

Qualcosa che possiamo ritrovare anche negli inizi della corsa allo spazio delle superpotenze: accanto allo sviluppo dei missili balistici e alle prospettive dei satelliti spia, dietro allo Sputnik o all’Apollo c’era, infatti, proprio l’andare a dimostrare quale dei due sistemi politici sarebbe risultato quello capace di sviluppare qualcosa di così complesso. Proprio per queste caratteristiche il progetto è stato proposto come esempio per le ragazze, il che rimane il simbolo dell’iniziativa (anche se Kyzzhibek ci ammette ridendo che, qualora il programma spaziale dovesse proseguire con altri progetti, un pensierino ad ammettere qualche ragazzo potrebbero anche farlo).

Alla domanda se ha evidenza che questo esempio stia funzionando, risponde: “Beh, siamo agli inizi, ed è davvero difficile misurarlo, ma noi ci crediamo“. Di certo, qualche piccolo germoglio inizia a crescere, almeno nelle vicinanze: entrambe le sorelle minori di Aidarbekova hanno già le idee chiare. Studieranno aerospaziale.

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Tags: CubesatKirghizistan
Mattia Simeoni

Mattia Simeoni

Laureato in ingegneria astronautica a Roma. A forte rischio commozione di fronte all'abitacolo delle Mercury e al pensiero dei primi voli lì a bordo! Appassionato dell'esplorazione spaziale, ma soprattutto di ciò che essa smuove in chi se ne occupa in termini d'ingegno ed entusiasmo. Molto interessato a come l'attività spaziale possa giocare un ruolo anche per i paesi meno avanzati.

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