Blue Origin ha annunciato che il suo sistema Blue Alchemist, una tecnologia sviluppata per l’utilizzo in situ delle risorse lunari (ISRU), ha superato la Critical Design Review (CDR), un traguardo che certifica la fattibilità progettuale del sistema su scala ingegneristica avanzata.
Questo sistema punta a trasformare la regolite lunare, l’insieme di polvere, detriti e rocce sbriciolate che ricopre la superficiale della Luna, in diverse altre componenti più utili, come ossigeno (necessario per respirare o come propellente), metalli e materiali da costruzione.
Blue Alchemist si basa su un processo chiamato Molten Regolith Electrolysis (MRE). Questo sistema parte dalla fusione della regolite a temperature intorno a 1600 °C o più, con materiali refrattari che resistano a tali condizioni. Poi, attraverso elettrolisi, gli ossidi che contengono ossigeno vengono separati: l’ossigeno rimane come prodotto utile, mentre i metalli (silicio, ferro, alluminio, etc.) e altri elementi vengono estratti come risorse da utilizzare nella costruzione o per componenti elettrici.
La regolite simulata è già stata usata nei laboratori di Blue Origin per produrre prototipi di celle solari, vetro protettivo per i pannelli, fili conduttori e altro materiale. L’azienda ha annunciato che il silicio ottenuto ha raggiunto una purezza molto alta, superiore al 99,999%, che è quella richiesta per le celle solari più performanti.
✅ Blue Alchemist passed Critical Design Review!
🌕 When we go back to the Moon, we’re going to stay. Blue Alchemist is a scalable system that turns lunar regolith, or soil, into oxygen, silicon, metals, and solar power. These are the building blocks for long-term… pic.twitter.com/FHCTYgQHZp
— Blue Origin (@blueorigin) September 10, 2025
Le sfide da affrontare
Secondo Blue Origin, nonostante il superamento della CDR sia un passo in avanti importante, le sfide ingegneristiche prima di poter utilizzare sulla Luna Blue Alchemist sono ancora molte. Fra queste, hanno dichiarato che durante l’elettrolisi a elevata temperatura, si formano bolle di ossigeno che devono separarsi in modo efficiente dall’elettrodo anodo. Questo è essenziale per evitare che l’ossigeno rimanga intrappolato, reagisca con il metallo o degradi l’anodo stesso.
Inoltre, i componenti (elettrodi, contenitori, sistemi di raccolta metalli) devono resistere a oltre 1600 °C, essere resistenti alla corrosione, al creep termico, e alle sollecitazioni meccaniche, senza usare materiali troppo pesanti. E questo rimane ancora un problema da affrontare. C’è poi la questione dell’efficienza, dato che è necessario che il sistema produca risorse con un risparmio reale rispetto all’idea di portare tutto dalla Terra: energia consumata, massa degli impianti, affidabilità, costi di manutenzione.
Attualmente Blue Alchemist è cofinanziato da un premio NASA Tipping Point, parte del programma Game Changing Development, che supporta tecnologie che potrebbero cambiare i costi e la sostenibilità delle missioni spaziali. Non è ancora chiara però la sua fattibilità economica e dove si posizionerà nel crescente mercato della Lunar Economy.
Blue Origin punta a un lancio del suo primo lander lunare, il Blue Moon Mark 1, entro la fine del 2025, data che sarà sicuramente rinviata. Non ci sono informazioni pubbliche se a bordo di questo lander ci sarà anche un primo esperimento di gestione delle risorse lunari, ma a questo punto appare probabile. Blue Origin ha dichiarato che una dimostrazione in ambiente lunare di Blue Alchemist sarà prevista per il 2026.
Successivamente l’azienda di Jeff Bezos punta a lanciare altri lander sulla Luna, co-finanziati dal programma CLPS della NASA. Inoltre, stanno lavorando al Blue Moon Mark 2, che dovrebbe invece trasportare astronauti sulla superficie già a partire dalla missione Artemis V. Questo lander sarà anche usato dalla NASA per portare sulla Luna carichi di grandi dimensioni, come rover per il trasporto di astronauti e infrastrutture.










