Un nuovo studio pubblicato su Geophysical Research Letters sembra aver finalmente risolto uno dei più longevi enigmi legati a Urano: il pianeta emette più calore di quanto ne riceva dal Sole.
La ricerca, guidata dall’Università di Houston in collaborazione con scienziati di diversi istituti internazionali e coerente con uno studio indipendente condotto da un gruppo di ricerca guidato dal professor Patrick Irwin presso l’Università di Oxford, ha mostrato che Urano possiede un flusso di calore interno, seppur debole, contraddicendo quanto indicato dai dati della sonda Voyager 2 nel 1986.
Finora, Urano era apparso come un’eccezione tra i giganti del Sistema Solare. Mentre Giove, Saturno e Nettuno mostrano tutti un’emissione significativa di calore interno, Urano sembrava emettere una quantità trascurabile di energia, incompatibile con i modelli teorici della formazione planetaria. I nuovi modelli sviluppati nel corso di questo studio, supportati da osservazioni raccolte in decenni di missioni spaziali e analisi della radiazione infrarossa, rivelano che il pianeta emette circa il 12.5% in più di energia rispetto a quella che riceve dal Sole.
Secondo Xinyue Wang, prima autrice dell’articolo, questa energia residua rappresenta il calore primordiale che Urano sta ancora lentamente rilasciando dalla sua formazione. Un comportamento simile a quello osservato negli altri giganti gassosi, ma con intensità molto inferiore. Le ragioni di questa differenza restano ancora oggetto di studio, ma potrebbero essere legate a una struttura interna differente o a un’evoluzione termica unica.
Un’emissione termica modesta, ma significativa
La scoperta che Urano emetta un flusso termico interno, seppure modesto, ha implicazioni profonde per la comprensione dell’evoluzione dei giganti ghiacciati. Mentre Giove e Saturno emettono oltre il doppio dell’energia che ricevono dal Sole, Urano mostra un surplus energetico contenuto, ma rilevabile. Questo dato contrasta fortemente con le conclusioni delle analisi della Voyager 2, che non erano riuscite a identificare un flusso termico interno significativo.
Xun Jiang, co-autore dello studio, ha spiegato che il valore misurato di emissione energetica di Urano, pari a circa il 12.5% in più dell’energia solare ricevuta, suggerisce che il pianeta stia ancora dissipando energia interna. Tuttavia, l’entità limitata di questa emissione potrebbe indicare che il calore residuo è stato in parte bloccato, probabilmente da strati interni altamente stratificati o da processi ancora sconosciuti.

Una possibile spiegazione è che eventi catastrofici nella storia di Urano, come l’inclinazione estrema del suo asse, abbiano alterato il trasporto di calore dall’interno verso l’esterno. Questo spiegherebbe non solo il comportamento termico anomalo, ma anche altre caratteristiche atmosferiche peculiari rispetto a Nettuno, con cui Urano condivide molte analogie in termini di massa e dimensioni.
Un supporto scientifico a future missioni verso Urano
La conferma dell’esistenza di calore interno rende ancora più importante (e necessaria) una missione spaziale verso Urano. La comunità scientifica ha già identificato Urano come obiettivo prioritario per il decennio 2023–2032, secondo quanto raccomandato dal Decadal Survey della National Academies of Sciences, Engineering and Medicine.
Lo studio sottolinea inoltre che i livelli di emissione termica di Urano variano anche in funzione delle stagioni, che sul pianeta durano circa 20 anni. A causa della sua inclinazione assiale estrema e dell’orbita eccentrica, l’energia assorbita e quella emessa dal pianeta possono variare sensibilmente nel tempo. Ciò suggerisce un’interazione complessa tra struttura interna e dinamiche atmosferiche, rafforzando la necessità di osservazioni in situ per raccogliere dati diretti e continui.
Infine, gli autori sottolineano che i metodi sviluppati in questa ricerca possono essere applicati anche allo studio di altri pianeti del Sistema Solare, e degli esopianeti. Comprendere il bilancio energetico di mondi lontani come Urano non solo arricchisce la planetologia comparata, ma può anche offrire nuovi strumenti per modellare i sistemi atmosferici, compreso quello terrestre.











