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58 anni dalla tragedia dell’Apollo 1

Stefano Piccin di Stefano Piccin
Gennaio 27, 2025
in Agenzie Spaziali, Approfondimento, Esplorazione spaziale, Luna, NASA, News
Da sinistra a destra, gli astronauti di Apollo 1: Gus Grissom, Edward H. White e Roger B. Chaffee. Credits: NASA

Da sinistra a destra, gli astronauti di Apollo 1: Gus Grissom, Edward H. White e Roger B. Chaffee. Credits: NASA

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Nel pomeriggio del 27 gennaio 1967, nel pieno sviluppo del Programma Apollo, avvenne uno degli incidenti più gravi e impensabili dell’esplorazione spaziale. La capsula di Apollo 1 prese fuoco, uccidendo in pochi secondi i tre membri dell’equipaggio, gli astronauti Gus Grissom, Edward H. White e Roger B. Chaffee. Per alcuni Apollo 1 rischiò di far cancellare il Programma Apollo, per altri fu solo grazie a questo incidente che la NASA arrivò sulla Luna. Quello che è chiaro è che dopo questo incidente cambiarono molte cose.

La missione sarebbe dovuta essere la prima del Programma Apollo, portando i tre astronauti in un volo in orbita terrestre come primo test ufficiale del modulo di comando e di quello di servizio Apollo.

Quel giorno l’entusiasmo per l’esplorazione spaziale e per la conquista della Luna subì una battuta d’arresto importante, rendendo chiaro a tutti quanto difficile e quanto critico fosse lo sviluppo del primo programma di esplorazione umana sulla Luna, questo anche perché la capsula di Apollo 1 non si trovava nello spazio, ma sulla rampa di lancio, sopra il Saturn V, per un test di routine.

Quel giorno un corto circuito all’interno produsse un incendio, facendo bruciare l’interno della capsula 012, come veniva definita in quel momento, e uccidendo tutti e tre gli astronauti a bordo. Per oltre 18 mesi non venne effettuato alcun test in volo con astronauti, che ripresero solamente a ottobre del 1968. Dopo Apollo 1, nessun altro astronauta perse la vita in operazioni o missioni all’interno del programma lunare americano.

Michael Collins, astronauta della missione Apollo 11, quel giorno era l’astronauta veterano in servizio all’ufficio astronauti, e prese parte alla riunione del venerdì di aggiornamento. Era uno dei pochi astronauti presenti a Houston, dato che quasi tutti erano in trasferta o impegnati in test. Nella sua autobiografia Carrying the Fire, ricorda così quel giorno, il momento in cui arrivò la notizia.

Avevamo appena iniziato quando squillò il telefono rosso d’emergenza […] I telefoni rossi facevano parte della mia vita, quando squillavano, di solito si trattava di un test di comunicazione o di un avviso di incidente aereo o di un aereo in volo in difficoltà. Dopo quello che sembrò un tempo lunghissimo, Don finalmente riattaccò e disse a bassa voce: “Incendio nella navicella”. Non ebbe bisogno di dire altro. Non c’erano dubbi su quale navicella fosse […] o chi ci fosse dentro […] o dove fosse […] o perché (un test finale dei sistemi) o cosa (la morte, meglio se rapida). Tutto quello che riuscivo a pensare era: Mio Dio, una cosa così ovvia eppure non l’avevamo mai considerata. 

L’incidente

L’incendio a bordo della capsula fu causato da un cortociuto di un cavo, che produsse una scintilla. Questa fece incendiare istantaneamente l’atmosfera che alimentò un incendio di tutto il materiale all’interno della capsula, come fogli, manuali, tessuti, velcro, rivestimenti e le tute degli astronauti.

L’atmosfera all’interno della capsula era quella che gli astronauti avrebbero avuto durante il volo lunare, proprio perché si stava eseguendo un test di simulazione dei sistemi di bordo, in particolare delle comunicazioni. Questa atmosfera era tenuta al 100% di ossigeno. La pressione atmosferica dentro la capsula fu un altro importante elemento dell’incidente.

Durante le missioni nello spazio la pressione dentro le navicelle Apollo era di 0.3 atmosfere, ma essendo sulla Terra non si simulò questo ambiente, tenendo una pressione di 1.1 atmosfere. Essendo leggermente superiore a quella esterna, che era ovviamente di 1 atmosfera, questo impedì di aprire in fretta il portellone della capsula.

Michael Collins ricorda ancora: […] C’erano anche fonti di innesco altrettanto abbondanti. Queste ultime non avrebbero dovuto esserci, ma ammettiamolo, l’interno di una navicella Blocco Uno era una selva di cavi, una giungla che era stata invasa più e più volte da operai che cambiavano, tagliavano, aggiungevano e giuntavano, fino a quando tutta la navicella era diventata semplicemente un unico grande potenziale cortocircuito. 

L'interno della capsula Apollo 1 dopo l'incendio.
L’interno della capsula Apollo 1 dopo l’incendio.

L’indagine

L’indagine successiva confermò che la causa principale dell’incidente fu una combinazione di ossigeno puro, elettricità e materiali infiammabili nell’ambiente dell’equipaggio.

L’incidente portò a una revisione completa delle procedure di sicurezza. La NASA abbandonò l’uso di ossigeno puro in favore di una miscela più sicura, introdusse materiali ignifughi nella cabina e implementò procedure di emergenza migliorate. Il tragico incidente dell’Apollo 1 sottolineò l’importanza della sicurezza nelle missioni spaziali e cambiò radicalmente l’approccio dell’agenzia spaziale americana.

La commissione di inchiesta infatti, non scoprì mai la causa specifica dell’innesco della scintilla, ma al contrario scoprì decine di cause possibili. Questo identificò una progettazione molto confusionaria, con le condizioni reali della capsula che non erano rappresentate dalle documentazioni. Troppe modifiche, fatte da troppe persone diverse, con un approccio confusionario.

Le indagini successive impiegarono mesi prima di concludersi senza una vera e propria soluzione, ma centinaia di miglioramenti diversi da effettuare.

Nonostante queste modifiche, è importante ricordare quanto le missioni Apollo rimasero difficili e rischiose, per tutto il programma, con parametri di sicurezza impensabili per il ventunesimo secolo. L’incidente di Apollo 1 fu però un punto critico nell’evoluzione delle procedure NASA.

File:Apollo 1 altitude test October 18, 1966.jpg - Wikimedia Commons

La sicurezza

Le modifiche apportate al Programma Apollo ebbero un impatto duraturo sullo sviluppo della tecnologia spaziale. L’esperienza dolorosa dell’Apollo 1 ha forgiato una cultura di sicurezza che permea ancora oggi le missioni spaziali.

Ne è un esempio il rinvio del lancio delle missioni Artemis II, da settembre 2025 ad aprile 2026, e di Artemis III, da fine 2026 a metà 2027, annunciato a dicembre 2024, per effettuare ulteriori test alla capsula Orion e ridurre ancora i rischi alla sicurezza.

Apollo 1 ha quindi rafforzato il concetto che la tecnologia spaziale, per quanto avanzata, deve essere sempre accompagnata da una gestione proattiva dei rischi. La tragedia ha evidenziato che ogni dettaglio, dal design dei sistemi al materiale delle tute, può fare la differenza tra successo e fallimento.

L’analisi tecnica approfondita dell’incidente ha in particolare consentito di migliorare drasticamente la progettazione delle cabine spaziali e le procedure operative, rendendo il viaggio nello spazio più sicuro per gli astronauti futuri.

Il futuro con il Programma Artemis

L’incidente di Apollo 1 ci ricorda ancora una volta quanto gli incidenti siano stati importanti nella storia della NASA. Insieme ai due dello Space Shuttle, questi incidenti hanno infatti creato una cultura della sicurezza alla NASA, che ora è però messa in discussione. All’alba di una nuova corsa allo spazio infatti, l’approccio di massima cautela è messo in discussione, con la necessità di ritrovare una spinta che oggi sembra provenire dal settore commerciale privato.

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Tags: Apollo 1incidenteLunaNasaProgramma Apollotragedia

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