Nuove misurazioni rafforzano la tensione di Hubble, una discrepanza sempre più evidente tra il tasso di espansione dell’Universo ottenuto da misure locali e le previsioni teoriche basate sull’Universo lontano. I risultati sono del team guidato da Dan Scolnic della Duke University, e mostrano che l’espansione dell’Universo procede a un ritmo più rapido rispetto a quanto previsto dal modello cosmologico standard. Scenario che pone interrogativi fondamentali sulla nostra comprensione dell’Universo, e della fisica che lo descrive.
La determinazione del tasso di espansione, noto come costante di Hubble, è una delle questioni centrali della cosmologia moderna. Utilizzando dati del Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI), che osserva migliaia di galassie ogni notte, e le curve di luce di 12 supernove di tipo Ia nell’ammasso di galassie della Chioma, il team di Scolnic ha ottenuto una misura molto precisa: 76.5 km/s per megaparsec. Questo valore è in linea con precedenti misurazioni locali, ma ancora una volta, è in netto disaccordo con i calcoli basati sull’Universo primordiale.
Secondo Scolnic, “il modello cosmologico standard potrebbe essere rotto”. Le nuove evidenze suggeriscono infatti che il problema non risieda nelle misurazioni, ma nei modelli teorici che descrivono l’evoluzione cosmica.
Una scala cosmica per la costante di Hubble
Per misurare l’espansione dell’universo, gli astronomi costruiscono una scala cosmica: una serie di metodi che si basano l’uno sull’altro per calcolare con precisione le distanze cosmiche. Ogni “gradino” della scala è calibrato grazie a un metodo di misurazione specifico e ben definito. Il primo gradino, o “piolo”, è spesso costituito da oggetti vicini e facilmente misurabili, come le stelle o gli ammassi di galassie.
Nel caso dello studio di Scolnic, il punto di partenza è stato l’ammasso della Chioma (Coma cluster), un insieme di galassie situato a circa 320 milioni di anni luce dalla Terra. Questa distanza è stata calcolata utilizzando le supernove di tipo Ia, particolari esplosioni stellari che fungono da indicatori di distanza molto affidabili. La loro luminosità intrinseca è prevedibile, il che significa che misurando quanto sono brillanti da Terra, si può risalire con precisione alla loro distanza.
Usando 12 supernove di tipo Ia nell’ammasso di Coma, il team ha determinato con grande precisione la distanza dell’ammasso stesso. Questa misura ha permesso di calibrare tutti i successivi gradini della scala cosmica, che includono osservazioni di oggetti più lontani, come galassie e supernove in regioni remote dell’Universo.

La tensione di Hubble e il problema dei modelli
Grazie a questa calibrazione, è stato possibile stimare un valore della costante di Hubble (76.5 km/s per megaparsec) che concorda con altre misurazioni locali.
Tuttavia, la stima è in contrasto con i valori previsti dai modelli teorici basati sull’Universo primordiale, osservato tramite la radiazione cosmica di fondo dal satellite Planck. Mentre Planck calcola una costante di circa 67.4 km/s per megaparsec, le osservazioni locali restituiscono valori sistematicamente più alti, attorno a 73-77 km/s per megaparsec.
Questa discrepanza ha spinto gli scienziati a riesaminare sia le tecniche di misurazione che le fondamenta del modello cosmologico standard. E secondo Scolnic:
Anche con approcci diversi, stiamo ottenendo numeri molto simili. Questo rafforza l’idea che il problema non sia negli strumenti o nei metodi, ma nei modelli.
Le implicazioni cosmologiche
Solo nel corso del 2024 sono usciti una serie di studi che hanno coinvolto il James Webb Space Telescope, e che hanno prima quasi smentito, poi confermato (questo, più volte) la presenza della tensione di Hubble, anche avanzando ulteriori metodi indipendenti per stimare il tasso di espansione.
L’entità della tensione di Hubble sta trasformando un’anomalia statistica in una crisi per il modello standard. Questa crisi potrebbe portare a una revisione profonda delle teorie cosmologiche, con implicazioni per la nostra comprensione della materia, dell’energia e delle leggi fisiche fondamentali.
La differenza tra i valori di Hubble potrebbe suggerire una transizione nelle proprietà dell’Universo, avvenuta dopo il Big Bang e non prevista dagli attuali modelli. Oppure, un ruolo che ancora non conosciamo per elementi con i quali già le teorie in qualche modo dialogano.
Gli sviluppi futuri richiederanno misurazioni ancora più precise. In particolare, le osservazioni delle prossime generazioni di telescopi forniranno nuovi dati cruciali, estendendo l’analisi a epoche cosmiche diverse e a regioni più distanti dell’Universo.
Scolnic, comunque, resta dell’idea che la tensione di Hubble è uno stimolo per la ricerca: “Siamo a un punto in cui mettiamo sotto pressione modelli usati per decenni, e le cose non combaciano. È un momento emozionante, con la possibilità di scoprire qualcosa di completamente nuovo sull’Universo”.
Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, è reperibile qui.