Alcuni batteri terrestri hanno “colonizzato” uno dei campioni dell’asteroide 162173 Ryugu, portati a Terra dalla sonda giapponese Hayabusa2 nel 2020, sfidando i più rigorosi protocolli di decontaminazione spaziale.
Durante l’analisi di un frammento di 5.4 grammi di Ryugu, denominato A0180, un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra ha scoperto filamenti di materia organica con dimensioni e morfologie coerenti con dei microrganismi, che sarebbero sopravvissuti alle procedure di sterilizzazione.
Nonostante le precauzioni, tra cui il trasporto in contenitori a pressione di azoto, i batteri sono riusciti a insediarsi sul materiale extraterrestre, dimostrando un’incredibile resilienza. Un evento che non solo mette in discussione gli attuali protocolli di decontaminazione, ma apre anche un dibattito scientifico sulla possibilità di identificare con certezza biosignatures extraterrestri.
La contaminazione di Ryugu con microrganismi terrestri
Dopo accurate tomografie a raggi X che hanno certificato l’assenza di contaminazione sulla sonda Hayabusa2 prima del lancio, gli scienziati hanno accertato che essa è avvenuta solo dopo l’apertura del contenitore sulla Terra. Probabilmente, durante la procedura di preparazione del campione.
Hayabusa2 ha utilizzato contenitori riempiti di azoto pressurizzato e procedure di sterilizzazione avanzate, e successivamente l’apertura della capsula è avvenuta in una camera bianca presso l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA). Eppure i batteri sono riusciti a insediarsi ugualmente sul materiale extraterrestre.
Le osservazioni al microscopio elettronico del campione A0180, una particella di regolite da 1×0.8 mm, hanno identificato filamenti e bastoncelli organici sulla superficie rocciosa, presumibilmente appartenenti a batteri procarioti noti per la loro straordinaria capacità di adattamento.
Un test specifico ha dimostrato la rapidità di proliferazione: un frammento esposto all’atmosfera è passato da 11 a 147 microbi in brevissimo tempo, evidenziando l’efficienza riproduttiva di questi microrganismi. Ciò sottolinea che i microrganismi sono in grado di colonizzare rapidamente materiali extraterrestri, anche in caso di esposizione limitata all’ambiente terrestre, e dimostra che la materia organica meteoritica fornisce una fonte di nutrienti adatta a sostenere la sopravvivenza delle popolazioni di microrganismi.
I ricercatori non hanno ancora confermato la natura esatta di questi batteri, ma sospettano che si tratti di Bacillus, un genere batterico particolarmente resistente e comune in ambienti rocciosi.
Le implicazioni per la ricerca astrobiologica
La contaminazione dei campioni spaziali rappresenta una sfida metodologica cruciale per la comunità scientifica. Mentre i campioni di Ryugu hanno già rivelato molecole organiche significative come l’uracile, una base nucleotidica essenziale per DNA e RNA, la presenza di microrganismi terrestri complica inevitabilmente l’interpretazione dei risultati.
Gli scienziati devono ora sviluppare protocolli ancora più rigorosi per distinguere tra contaminazione terrestre e potenziali biosignatures extraterrestri. Questa scoperta non invalida il valore scientifico del campione, ma sottolinea la necessità di perfezionare le tecniche di analisi.
Le implicazioni si estendono anche alle future missioni spaziali, dove la colonizzazione microbica potrebbe potenzialmente alterare gli ambienti originali dei corpi celesti, compromettendo la ricerca di eventuali forme di vita primordiale.
Lo studio, pubblicato su Meteoritics & Planetary Science, è reperibile qui.