Il 2023 sarà pietra miliare per le attività spaziali del Mondo Arabo. La missione lunare degli Emirati Arabi Uniti, il lancio (avvenuto) del secondo astronauta emiratino Al Neyadi per quella che è la prima missione spaziale di lunga durata per un astronauta arabo, e la seconda missione spaziale privata di Axiom Space (AX-2) che porterà sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) due astronauti dell’Arabia Saudita -tra cui la prima donna araba della storia-, è la testimonianza di quanto il comparto spaziale dell’intera area del MENA sia in pieno fermento.
Abu Dhabi, il leader delle attività spaziali pan-arabe
A distanza di poco più di un decennio, gli Emirati Arabi Uniti hanno tradotto le loro primordiali aspirazioni extra-atmosferiche in consolidata leadership nelle attività spaziali dell’intera area del MENA. Obiettivo che, per essere raggiunto ed ora perseguito, ha richiesto ad Abu Dhabi un cambio di rotta nella propria politica estera, maggiormente progressista, basata sul concetto strategico di smart power, un mix tra hard e soft power.
Quest’ultimo è la chiave di volta dell’attuale successo emiratino, perché basato sul ruolo indiscusso che Abu Dhabi ricopre come potenza economica regionale, capace di attrarre importanti rapporti di cooperazione internazionale in tutti i settori industriali, compreso quello aerospaziale ad alto contenuto tecnologico. Per cercare di comprendere -in maniera sintetica- il ruolo che gli Emirati Arabi Uniti (EAU) svolgono (anche) nelle dinamiche spaziali del MENA, basti pensare che gli EAU sono stati – e sono tutt’ora – i promotori di ambiziose iniziative di cooperazione spaziale.
Nel 2008, gli EAU furono i promotori della costituzione di un’Agenzia Spaziale Panaraba, la cui nascita era focalizzata nel fornire e garantire agli Stati arabi un accesso autonomo allo spazio esterno, puntando su una parallela distribuzione – e quindi riduzione – dei costi di gestione e messa in orbita di assetti satellitari, arabi si intende. Il tentativo fallì, ma aprì le porte per quella che fu una profonda e decisa strutturazione interna.
Nel 2014 viene infatti costituita l’agenzia spaziale nazionale, la UAE Space Agency (UAESA), mentre solo cinque anni più tardi, nel 2019, gli EAU avanzano una nuova iniziativa spaziale, questa volta con successo. Viene costituito l’Arab Space Collaboration Group (ASCG) al quale, ad oggi, aderiscono undici Stati arabi, alcuni dei quali risiedono anche al di fuori dell’area mediorientale, come l’Egitto. L’ASCG basato sul modello di cooperazione in seno all’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e tutt’oggi presieduto dagli stessi EAU.
Tutt’oggi, l’obiettivo principale è promuovere, favorire ed accrescere la cooperazione spaziale nell’area mediorientale (non solo), attraverso progetti congiunti e la condivisione delle conoscenze tecnico-scientifiche tra gli Stati arabi aderenti. Di fatto, una sorta di embrione di quello che è il progetto principe che sta a cuore degli EAU, che è proprio la costituzione dell’Agenzia Spaziale Panaraba.
Anche dal punto di vista tecnico-scientifico, Abu Dhabi dimostra crescenti quanto significative potenzialità. È infatti (ulteriore) testimonianza dell’accelerazione nel consolidamento ed ampliamento delle proprie capacità ed ambizioni spaziali, la collaborazione con la compagnia spaziale privata giapponese ispace, nell’ambito di quella che è la prima – ad oggi anche unic a- missione spaziale di esplorazione lunare privata attiva, denominata Hakuto-R M1 (Mission-1).
“Emirate Lunar Mission” è invece il nome assegnato dagli EAU per quella che sarà la missione del loro primo storico rover lunare “Rashid”, diretto verso il Cratere Atlas nel Mare Frigoris – o Mare Freddo – che è previsto raggiunga a bordo del “lander” giapponese Hakuto alla fine del prossimo mese di aprile. Missione che, se eseguita con successo, proietterà Giappone e gli stessi EAU al quarto posto nella storia dell’esplorazione lunare, dopo Stati Uniti, Russia e Cina. Non solo, gli EAU saranno la prima nazione araba della storia sulla superficie lunare, bissando il record ottenuto nel febbraio del 2021, quando la sonda “Hope” divenne la prima sonda araba nella storia dell’esplorazione spaziale ad entrare con successo in orbita marziana.
Se da una parte quindi gli obiettivi emiratini in termini di “esplorazione robotica” vengono ottimamente perseguiti, anche le ambizioni nel campo dell’esplorazione spaziale con equipaggi umani trovano ampie soddisfazioni. È infatti decollato il 2 marzo, alle 06:34 italiane, il vettore Falcon 9 che ha portato sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il secondo astronauta emiratino, l’ingegnere delle telecomunicazioni Sultan Al-Neyadi, già astronauta di riserva del Maggiore Hazzaa Al Mansouri, il primo astronauta degli Emirati Arabi Uniti a varcare la soglia di Von Karman e a “mettere piede” sulla ISS, nel settembre del 2019. Al Mansouri trascorse solo sette giorni in orbita, rientrando sulla Terra il seguente 3 ottobre a bordo della Soyuz MS-12.
Un atto di grande impatto simbolico, non solo per le aspirazioni spaziali di Abu Dhabi, ma soprattutto politiche. In quell’occasione, infatti, Al-Mansouri portò in orbita con se la bandiera israeliana, a simboleggiare, ad un anno dalla sigla degli “Accordi di Abramo”, gli enormi progressi compiuti nella normalizzazione dei rapporti tra un paese arabo e lo Stato di Israele. Progressi che hanno portato proprio all’istituzione di attività spaziali congiunte, formalizzate nella futura missione, sempre di esplorazione lunare ma questa volta a guida israeliana, Beresheet-2. Altro esempio del soft power di Abu Dhabi, ma anche ennesima dimostrazione di come lo Spazio unisca e non divida i popoli.
Questa volta, Al-Neyadi condurrà quella che non solo è la prima missione di lunga durata per un astronauta degli Emirati Arabi Uniti ma, più in generale, la prima missione spaziale umana di lunga durata per l’intero Mondo Arabo. A bordo, oltre alle quotidiane attività di manutenzione del più avanzato ed estremo avamposto umano che svolgerà insieme ai colleghi statunitensi e russi, Al-Neyadi sarà impegnato nell’esecuzione di oltre 200 esperimenti scientifici. Ben 19 tra quelli previsti derivano direttamente dalle Università degli EAU. Nel tempo libero, oltre ai contatti con la famiglia, si dedicherà anche alla fotografia, immortalando dallo spazio soprattutto i Paesi arabi, al fine di promuovere e pubblicizzare le attività spaziali e scientifiche anche nei paesi arabi, con particolare focus sulle nuove generazioni.
Anche in veste di secondo astronauto emiratino ed arabo a visitare la ISS, Al-Neyadi potrà incidere il suo nome a fianco di quello del collega Al Mansouri, con cui condivise l’addestramento e la preparazione fin dalla nomina nel dicembre 2017 quando, direttamente dal Vicepresidente e Primo Ministro Sceicco Mohammed bin Rashid Al Moktoum, furono annunciati come unici due candidati astronauti degli EAU, selezionati tra una rosa di oltre 4000 candidati.
Curiosa è invece l’asegnazione di Al Neyadi alla rotazione astronauti commissionata dalla NASA alla privata Space X, e denominata Crew-6. Sulla scia del successo della missione di Al-Mansouri che raggiunse la ISS a bordo della Soyuz MS-15, gli EAU avviarono nuove trattative sempre con la russa ROSCOSMOS, al fine proprio di assicurare un posto ad un astronauta emiratino per una missione di lunga durata (circa sei mesi). Tuttavia, alla fine del mese di aprile dello scorso anno, il Mohammed Bin Rashid Space Center (MBRSC) annunciò che EAU si erano assicurati un “seggiolino” nella rotazione astronauti Crew-6 per il tramite della compagnia commerciale statunitense Axiom Space.
L’episodio non costituisce in alcun modo una interruzione o un cambio di rotta nei rapporti tra UAESA e ROSCOSMOS, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Semplicemente, la Axiom Space poteva fornire agli EAU una opportunità di volo pressoché “immediata” -o comunque a “breve termine”, seppur non certo al prezzo che avrebbe ottenuto direttamente da ROSCOSMOS. Questo è divenuto possibile in virtù di un precedente contratto siglato con la NASA la quale, non potendo – o volendo – operare per vie dirette con ROSCOSMOS, si era assicurata un “seggiolino” su un futuro vettore Soyuz proprio tramite la società privata Axiom, al fine di garantire così la continuativa presenza di astronauti statunitensi a bordo della ISS.
Infatti, come dimostra il rinvio del lancio del Falcon-9 in seguito a -fortunatamente- non gravi problemi tecnici, è importante ricordare che, finché Boeing non otterrà le necessarie certificazioni per la piena operatività nei voli spaziali con equipaggio umano per la capsula Starliner (CST-100), gli Stati Uniti non disporranno di soluzioni alternative (di back-up) ai vettori Falcon-9 di Space X per l’accesso autonomo allo spazio, con propri astronauti, dal suolo americano.
Motivo per cui, nonostante il forte deterioramento dei rapporti diplomatici tra le due potenze a seguito della grave crisi in Ucraina, per il tramite di compagnie commerciali private – quindi non per vie dirette di apparati governativi – gli Stati Uniti continueranno ad assicurarsi “seggiolini” sui vettori russi Soyuz: gli unici “veicoli” non-statunitensi adibiti al trasporto spaziale umano oggi esistenti.
Riyad (ri)vuole il suo Spazio
Se gli Emirati Arabi Uniti sono partiti a costruire il loro successo e la loro leadership in campo spaziale aderendo, nel tempo, a (quasi) tutti i principali trattati internazionali in materia, anche L’Arabia Saudita può vantare un profilo di alto livello internazionale. Quello di adesione ai vari trattati internazionali, è un processo da sempre dovuto per ogni nazione che, per il tramite della propria Agenzia Spaziale nazionale, ambisce ad essere parte dei più importanti programmi spaziali internazionali. E’ necessario allinearsi non solo a quelli che sono gli standard tecnologici ed addestrativi, ma anche e soprattutto a quelli politici e legislativi. Riyad non è certo Abu Dhabi nelle attività spaziali, ma questo non deve offuscare il ruolo passato e presente che l’Arabia Saudita riveste nelle attività extra-atmosferiche del Mondo Arabo.
È infatti importante ricordare come il primo astronauta arabo nella storia dell’esplorazione spaziale è proprio di nazionalità saudita. Fu Sultan bin Salman Al Sa’ud nel giugno del 1985, a diventare il primo astronauta arabo della storia durante la missione STS-51-G a bordo dello Space Shuttle Discovery. Specialista di missione, Al-Sa’ud si occupò di supervisionare le operazioni di rilascio del satellite per telecomunicazioni saudita ARABSAT-1B dalla baia di carico dello Space Shuttle. Satellite tuttavia non più operativo dal 1992 a causa di un guasto che compromise il sistema di controllo ed assetto.
Dalla fine del mese di dicembre del 2018 fino al mese di novembre dello scorso anno, Al Sa’ud è stato a capo della cosiddetta Commissione Spaziale Saudita (Saudi Space Commission, SSC), il potenziale embrione di una Agenzia Spaziale Saudita. I lavori di questa commissione furono principalmente focalizzati sulla creazione di una realtà spaziale univoca a livello nazionale -una Agenzia Spaziale, appunto-, ma anche nella definizione di un adeguato impianto legislativo nazionale per la regolamentazione delle attività del settore spaziale e nel coordinamento degli “affari spaziali” nell’ambito di quella che è la cosiddetta Saudi Vision 2030.
Tuttavia, all’inizio dello scorso mese di novembre, il Governo saudita ha emanato una serie di nuove direttive atte a riorganizzare e modernizzare l’intera governance del settore spaziale nazionale. In particolare, la “Communications and Information Technology Commission” (CITC) è stata rinominata Communication, Space and Technology Commision (CST). Ad essa è assegnata la gestione e l’organizzazione di tutte le attività tecniche spaziali precedentemente in carico alla univoca SSC, ora soppressa. Con la costituzione del CST, Riyad accentra le competenze del settore spaziale saudita, cercando di favorire anche la maggior sinergia. Competenze spaziali quelle saudite sviluppate prevalentemente nel settore delle comunicazioni satellitari.
È infatti importante ricordare che ha sede proprio a Riyad il quartier generale dell’Arab Satellite Comminications Organization (ARABSAT), che vanta la gestione di circa sedici satelliti inseriti in orbita dal 1985. L’organizzazione è promossa dalla Lega Araba, fondata nel 1976, è composta da ventuno paesi arabi. Ancora oggi, fornisce e garantisce l’indipendenza nei servizi di telecomunicazione e trasmissione dati dei Paesi dell’intera regione del MENA. Tra le diverse competenze assegnate al neocostituito CST, troviamo di conseguenza anche quelle relative alla selezione delle varie “bande di trasmissione” e la conseguente gestione delle “prenotazioni” – in ambito ITU – delle rispettive orbite su cui collocare i rispettivi assetti satellitari. Tra i suoi compiti vi è anche la responsabilità di sostenere e promuovere la nascita e la crescita di nuove tecnologie spaziali.
Parallelamente alla (ri)strutturazione di questo ramo operativo e tecnologico, il Governo saudita ha anche approvato la creazione di un corrispettivo ramo politico-decisionale, denominato Consiglio Supremo Spaziale (Supreme Space Council, SSC), alle direttive del Primo Ministro Mohammed bin Salman. L’SCC assume diversi ruoli strategico-programmatici di alto rilievo: definisce ed approva una strategia spaziale nazionale, avalla e monitora l’implementazione di strategie definite “rilevanti” e, sulla base dei punti precedenti, armonizza le necessarie attività industriali nazionali.
Per tali scopi, il Consiglio ha quindi assunto una direzione a carattere interministeriale. Sono infatti suoi membri, il Ministro della Comunicazione e dell’Informazione Tecnologica, il Ministro degli Esteri, il Ministro dell’Economia, il Ministro dell’Industria e delle Risorse Minerarie, il Governatore del CST ed il Capo della Presidenza della Sicurezza di Stato. Questo importante, quanto stravolgente, riassetto della governance del settore spaziale nazionale saudita, dimostra come Riyad abbia messo al centro dello sviluppo tecnologico, scientifico ed industriale del Regno le attività aerospaziali.
Si tratta di un meglio strutturato sviluppo del settore spaziale nazionale, cominciato solo recentemente, nel 2018, proprio con l’istituzione della Commissione Spaziale Saudita a cui venne affidato l’iniziale, difficile, compito di attrarre e stimolare la ricerca e la crescita di attività industriali nel settore spaziale.
La creazione, meno di quattro mesi fa, del Consiglio Supremo dello Spazio è testimonianza di quella eredità che vuole vedere l’Arabia Saudita ritagliarsi un posto tra le maggiori potenza spaziali, non solo a livello regionale. In questo senso, tali ambizioni, trovano ulteriore conferma nell’annuncio dello scorso 12 febbraio dei due nuovi astronauti sauditi: il Capitano dell’aeronautica militare, pilota di F-15 con oltre 2300 ore di volo all’attivo, Ali AlQarni (31 anni), e la dottoressa Rayyanah Barnawi (33 anni), ricercatrice biomedica specializzata nello studio delle cellule staminali tumorali. Rayyanah oltre a diventare – per certo – la prima donna astronauta saudita della storia, verosimilmente, diventerà anche la prima donna astronauta araba della storia, strappando il primato proprio agli Emirati Arabi Uniti.
Il Mondo Arabo alla conquista dello Spazio
È indubbio, quanto straordinario, sia stato nel corso dei secoli il contributo che la civiltà e la cultura araba hanno saputo dare alla conoscenza ed alla scoperta degli astri, e non solo. Al di là degli interessi -condivisi o contrapposti tra Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita- il 2023 è l’anno in cui, per la prima volta nella storia, sulla ISS saranno presenti ben tre astronauti arabi contemporaneamente, tra cui la prima donna. In coppia, gli astronauti sauditi AlQarni e Barnawi raggiungeranno con la missione Axiom Mission 2 (AX-2), il quindi già presente astronauta emiratino Al-Neyadi. I due astronauti sauditi, raggiungeranno la ISS con la veterana di voli spaziali ed ex-astronauta NASA, la statunitense Peggy Whitson, Comandante della missione AX-2.
A bordo, anche il secondo passeggero statunitense, l’investitore privato e pilota da corsa John Shoffner. Nel momento in cui AlQarni e Barnawi entreranno nella ISS, l’Arabia Saudita entrerà, di fatto, nella ristretta e prestigiosa cerchia di Paesi ad aver avuto contemporaneamente in orbita due astronauti. Un risultato di prestigio, raggiunto anche dall’Italia, “presente” nella missione AX-2 con il Colonnello dell’Aeronautica Militare Walter Villadei (che volerà con la missione AX-3 puntando a diventare il primo astronauta privato europeo sulla ISS) che, insieme agli altri due astronauti sauditi Ali AlGhamdi e Mariam Fardous, è assegnato proprio all’equipaggio di riserva di AX-2.
Il volo spaziale umano è e resta un simbolo della superiorità tecnologica – e non solo – di quei Paesi in grado di esprimere elevate competenze tecnico-scientifiche in campi come quello ingegneristico, della ricerca, della medicina e dell’innovazione tecnologica ed industriale.
Per EAU ed Arabia Saudita la possibilità di effettuare voli spaziali umani significa non solo mostrare ed ampliare queste capacità, ma soprattutto la possibilità di cogliere la grande opportunità di formare e qualificare propri astronauti per la conduzione di attività scientifiche in orbita, aprendo così ulteriormente la strada a progetti di ricerca scientifica di carattere internazionale, oltre che ad ulteriori missioni spaziali. La strada è aperta.
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