Negli anziani, nelle donne post menopausa o nei pazienti con danni al midollo spinale l’insorgenza di condizioni patologiche a carico del sistema muscolo-scheletrico, quali atrofia muscolare o osteoporosi è particolarmente comune. Vale lo stesso per gli astronauti durante le lunghe permanenze nello spazio, dove la microgravità riduce drasticamente la stimolazione di muscoli e ossa.
In entrambi i casi diventa necessario accompagnare la riabilitazione motoria con una terapia farmacologica, adatta a contrastare la perdita di tessuto muscolo-scheletrico. Una nuova soluzione per semplificare questo tipo di somministrazione sembra arrivare dall’uso congiunto di nanomedicina e impianti, recentemente testati e validati a bordo della ISS.
Una ricerca che parla anche italiano
Il Dr. Alessandro Grattoni, è da diversi anni a capo di un team di ricerca che vede nei dispositivi impiantabili il trampolino di lancio per fronteggiare queste sfide. Sia quelle patologiche sulla Terra, quanto quelle operative legate all’esplorazione spaziale. Laureato in ingegneria meccanica presso il Politecnico di Torino, Grattoni è adesso professore in nanomedicina e ricercatore presso l’ospedale Methodist, tra i centri più all’avanguardia del Texas Medical Center di Houston.

I dispositivi in questione presentano membrane artificiali dotate di nano-canali con un diametro di circa 2 nanometri, progettati per essere impiantati sotto pelle e rilasciare automaticamente nel tempo, principi attivi utili a contrastare la perdita di tessuto. Il risultato è non dover più somministrare manualmente i farmaci, riducendo il relativo impiego di tempi e risorse.
L’approccio di drug delivery mediante impianti, di per sé non è nuovo, tuttavia lo spazio offre un vantaggio particolare ai fini della ricerca. Nello spazio, infatti, la microgravità espone il corpo (umano e non) ad una degenerazione accelerata dei tessuti, velocizzando lo studio e l’analisi di modelli animali adatti per simulare le patologie umane. Allo stesso tempo, emergono criticità non indifferenti legate soprattutto ad un netto cambiamento della fluidodinamica e della risposta dell’organismo al principio attivo. Tutto ciò può influenzare non poco le modalità di rilascio del farmaco.
Topi spaziali
Per valutare l’impatto di tali criticità e ricavare dati necessari per lo sviluppo del progetto, nel 2017 una crew di 40 topi denominata RR-6 partì verso la Stazione Spaziale Internazionale a bordo della tredicesima missione commerciale di SpaceX e della sua capsula Dragon. Di questi, 20 rimasero a bordo per un mese, mentre gli altri 20 tornarono a Terra dopo 60 giorni, tutti quanti vennero poi confrontati con un gruppo di controllo altrettanto numeroso situato presso il Kennedy Space Center Animal Care Facility.

Grazie all’utilizzo degli impianti, il mantenimento della piccola popolazione di pazienti animali richiese solo in minima parte il coinvolgimento degli astronauti, assicurando una terapia farmacologica a tutti gli effetti autonoma nel tempo e delocalizzata.
I risultati della ricerca, realizzata in partnership con Novartis e pubblicata recentemente su Advanced Therapeutics, sono estremamente incoraggianti. La somministrazione di formoterolo (agonista dei recettori β2 adrenergici) non solo ha aiutato a contrastare la perdita di massa muscolare, ma ha indotto anche un effetto anabolico su muscoli quali il gastrocnemio, il soleo ed il muscolo plantare, che giocano un ruolo chiave nel mantenimento e nel supporto della posizione eretta, come di altre tipologie di movimento.
Per gli astronauti, questo significa avere a disposizione un sistema capace di supportare le loro performance in orbita terrestre ma anche durante i futuri viaggi verso Marte. Per i pazienti sulla Terra, significa invece potersi letteralmente rialzarsi in piedi e affrontare lunghi e sfidanti protocolli riabilitativi. Una prima spinta in grado di svoltare la qualità di migliaia di vite, facilitata e accelerata dagli studi effettuati sull’ISS, il nostro comune laboratorio nello spazio.
Dalla ricerca alla commercializzazione
Nel 2019, durante la ISS Research & Development Conference, il Dr. Grattoni con il suo team sono stati premiati per i risultati dello studio, una ricerca condotta tra Terra e spazio e iniziata diversi anni prima del lancio dell’esperimento RR-6. L’impatto di questo lavoro inizia però solo adesso. Per accelerare la commercializzazione degli impianti, è stata fondata appositamente l’azienda NanoMedical Systems, con sede a Austin ed esempio perfetto di trasferimento tecnologico dal settore accademico a quello privato.
Con l’inaugurazione di NanoMedical Systems e della collaborazione con il centro medico d’eccellenza Houston Methodist, il team del Dr. Grattoni punta ad orizzonti ancora più ambiziosi prefigurando un futuro dove si potranno assicurare trattamenti personalizzati, automatizzati e controllati da remoto mediante apposito microchip a supporto non solo di degenerazioni muscolo-scheletriche, ma anche di settori quali l’oncologia e la prevenzione di malattie infettive tra cui l’HIV.
Una conquista fatta (anche) in microgravità, grazie all’agilità dell’era spaziale che stiamo vivendo e agli investimenti di aziende come SpaceX che stanno trasformando lo spazio in una piattaforma di innovazione sempre più accessibile. Scienziati, medici e pazienti inclusi.